Il discorso “responsabilità e licenziamenti” secondo me è anche legato ad una questione di borsa, nel senso che immagino che assumersi le responsabilità di un errore implichi pure perdere fiducia da parte degli azionisti e quindi le azioni droppano (ipotizzo eh). Poi vabbè sicuramente c’entra anche il fatto che culturalmente piuttosto che ammettere uno sbaglio ci ammazzeremmo
Però abbiamo conoscenza di casi in cui - prendo come esempio Satoru Iwata (che si tagliò lo stipendio) e pure Phil Spencer (per quanto alcune sue dichiarazioni a me paiono paracule ogni tanto) - in cui una persona ha detto "colpa mia" anche se la società per cui lavora è quotata in borsa. Detto ciò, è sicuramente un fattore da considerare.
Su Iwata mi viene da dire che un altro di quella caratura sarà molto difficile averlo (anche per il background “operaio” che oggi non penso sia replicabile). Però effettivamente un paio di casi ci sono
Il prezzo da pagare per politiche commerciali e promozionali che non hanno centrato il bersaglio è sempre a carico dei dipendenti, i mea culpa dei manager servono solo a rendere palese un atteggiamento che il sistema capitalistico impone senza alcun riguardo alla forza lavoro. Questo in ottica occidentale, mentre ci sono stato esempi di manager orientali, leggi giapponesi, che hanno preso le loro responsabilità e si sono dimessi in situazioni analoghe.
Come dice Gameromancer, oggi si guarda prima agli andamenti economici e alle quotazioni in borsa delle società, per cui si preferisce fare un comunicato dove si annunciano licenziamenti che prendersi delle responsabilità dirigenziali che rischierebbero di far crollare i titoli sulle piazze azionarie. Il ragionamento che sta dietro a tutto è sempre e comunque quello del profitto che rende ogni società, sia nel campo dei videogiochi che in altri ambiti, sempre più legata alle logiche di mercato, ad inculcare nel consumatore i bisogni più che a creare qualcosa di eventualmente azzardato, ma sicuramente innovativo. Che può andar bene al consumatore medio, che si adegua alle costanti iterazioni-fotocopia del medesimo titolo, ma che non soddisfa certo chi si è sempre approcciato ai videogiochi con animo critico e andando a cercare nei prodotti qualcosa di diverso, di non reiterato. Il panorama degli sviluppatori indipendenti cerca in qualche modo di uscire dal solco lasciato dalle major, ma alla fine chi detta le condizioni per stare sul mercato è il volume di profitti che vengono generati e non certo la sperimentazione e l’azzardo
Il discorso “responsabilità e licenziamenti” secondo me è anche legato ad una questione di borsa, nel senso che immagino che assumersi le responsabilità di un errore implichi pure perdere fiducia da parte degli azionisti e quindi le azioni droppano (ipotizzo eh). Poi vabbè sicuramente c’entra anche il fatto che culturalmente piuttosto che ammettere uno sbaglio ci ammazzeremmo
Però abbiamo conoscenza di casi in cui - prendo come esempio Satoru Iwata (che si tagliò lo stipendio) e pure Phil Spencer (per quanto alcune sue dichiarazioni a me paiono paracule ogni tanto) - in cui una persona ha detto "colpa mia" anche se la società per cui lavora è quotata in borsa. Detto ciò, è sicuramente un fattore da considerare.
Su Iwata mi viene da dire che un altro di quella caratura sarà molto difficile averlo (anche per il background “operaio” che oggi non penso sia replicabile). Però effettivamente un paio di casi ci sono
Il prezzo da pagare per politiche commerciali e promozionali che non hanno centrato il bersaglio è sempre a carico dei dipendenti, i mea culpa dei manager servono solo a rendere palese un atteggiamento che il sistema capitalistico impone senza alcun riguardo alla forza lavoro. Questo in ottica occidentale, mentre ci sono stato esempi di manager orientali, leggi giapponesi, che hanno preso le loro responsabilità e si sono dimessi in situazioni analoghe.
Come dice Gameromancer, oggi si guarda prima agli andamenti economici e alle quotazioni in borsa delle società, per cui si preferisce fare un comunicato dove si annunciano licenziamenti che prendersi delle responsabilità dirigenziali che rischierebbero di far crollare i titoli sulle piazze azionarie. Il ragionamento che sta dietro a tutto è sempre e comunque quello del profitto che rende ogni società, sia nel campo dei videogiochi che in altri ambiti, sempre più legata alle logiche di mercato, ad inculcare nel consumatore i bisogni più che a creare qualcosa di eventualmente azzardato, ma sicuramente innovativo. Che può andar bene al consumatore medio, che si adegua alle costanti iterazioni-fotocopia del medesimo titolo, ma che non soddisfa certo chi si è sempre approcciato ai videogiochi con animo critico e andando a cercare nei prodotti qualcosa di diverso, di non reiterato. Il panorama degli sviluppatori indipendenti cerca in qualche modo di uscire dal solco lasciato dalle major, ma alla fine chi detta le condizioni per stare sul mercato è il volume di profitti che vengono generati e non certo la sperimentazione e l’azzardo