È naturale che quando il mondo cambia radicalmente, nel giro di pochi giorni, anche le abitudini che prima davano per scontate possano apparire meno interessanti; o almeno un po' meno significative quando in un'altra parte del mondo, nel caso dell'Ucraina anche più vicina all'Italia del solito, ci sono persone che letteralmente stanno rischiando di morire ogni giorno, solo perché esistono, nelle loro case o in fuga.Ci si chiede se parlare degli stessi argomenti di prima possa ancora avere un significato; se trattare un determinato argomento possa essere indelicato o se sia proprio il caso di non farlo per dare spazio, invece, ad argomentazioni più inerenti al modo in cui il mondo sta cambiando o perlomeno tentare di contribuire a spiegare quel cambiamento.Ci si chiede - giustamente - se parlare delle stesse cose di prima sia ancora la cosa migliore da fare, quando le proprie capacità, il proprio ruolo, i propri strumenti potrebbero invece essere asserviti e focalizzati a qualcosa di più utile, per quanto la stessa definizione di utile possa essere dibattuta.Credo che, nonostante tutto, parlare di videogiochi e di ciò che ruota attorno a essi durante una situazione così infelice abbia comunque un senso.Io di mio ho capito che il ruolo che ho (come giornalista) è di continuare a raccontare: anche di videogiochi, se serve. Perché dietro ai videogiochi ci sono persone che ci lavorano in Ucraina e in Russia, tanto per fare un esempio. Perché i videogiochi possono plasmare un'immagine. Perché i videogiochi rappresentano anch'essi un elemento del cosiddetto soft power dei Paesi e influenzano il modo in cui quei Paesi vengono percepiti.Perché videogiochi come This War of Mine possono contribuire più di tanti articoli a generare empatia nei civili che rimangono coinvolti in una guerra che non hanno innescato loro; ed esperienze come Orwell possono invece far percepire cosa significhi un sistema in cui l'affidabilità dell'informazione salta e il controllo pervasivo diventa una costante. Sono anche queste modalità di raccontare il mondo che ci circonda e di fornire alcuni degli strumenti che possono aiutare ad allargare la sensibilità e la prospettiva.Massimiliano
Parlare di videogiochi durante una guerra
Parlare di videogiochi durante una guerra
Parlare di videogiochi durante una guerra
È naturale che quando il mondo cambia radicalmente, nel giro di pochi giorni, anche le abitudini che prima davano per scontate possano apparire meno interessanti; o almeno un po' meno significative quando in un'altra parte del mondo, nel caso dell'Ucraina anche più vicina all'Italia del solito, ci sono persone che letteralmente stanno rischiando di morire ogni giorno, solo perché esistono, nelle loro case o in fuga.Ci si chiede se parlare degli stessi argomenti di prima possa ancora avere un significato; se trattare un determinato argomento possa essere indelicato o se sia proprio il caso di non farlo per dare spazio, invece, ad argomentazioni più inerenti al modo in cui il mondo sta cambiando o perlomeno tentare di contribuire a spiegare quel cambiamento.Ci si chiede - giustamente - se parlare delle stesse cose di prima sia ancora la cosa migliore da fare, quando le proprie capacità, il proprio ruolo, i propri strumenti potrebbero invece essere asserviti e focalizzati a qualcosa di più utile, per quanto la stessa definizione di utile possa essere dibattuta.Credo che, nonostante tutto, parlare di videogiochi e di ciò che ruota attorno a essi durante una situazione così infelice abbia comunque un senso.Io di mio ho capito che il ruolo che ho (come giornalista) è di continuare a raccontare: anche di videogiochi, se serve. Perché dietro ai videogiochi ci sono persone che ci lavorano in Ucraina e in Russia, tanto per fare un esempio. Perché i videogiochi possono plasmare un'immagine. Perché i videogiochi rappresentano anch'essi un elemento del cosiddetto soft power dei Paesi e influenzano il modo in cui quei Paesi vengono percepiti.Perché videogiochi come This War of Mine possono contribuire più di tanti articoli a generare empatia nei civili che rimangono coinvolti in una guerra che non hanno innescato loro; ed esperienze come Orwell possono invece far percepire cosa significhi un sistema in cui l'affidabilità dell'informazione salta e il controllo pervasivo diventa una costante. Sono anche queste modalità di raccontare il mondo che ci circonda e di fornire alcuni degli strumenti che possono aiutare ad allargare la sensibilità e la prospettiva.Massimiliano