Salvare i videogiochi online è possibile?
La petizione europea ha superato il milione di firme e può andare avanti. Ma la parte complicata arriva ora
Da tempo, non mi ricordo nemmeno quando abbiamo iniziato, ribadiamo il mantra del “bisogna tornare a fare giochi più piccoli”. Ciò per contrastare il costante rialzo dei costi di sviluppo; che si porta dietro rischi maggiori, dover vendere molte più copie e farlo in un mercato che invece cresce pochissimo - da un certo punto di vista non cresce proprio - e dove il pubblico console è sempre quello.
Di recente, a Shuntaro Furukawa, presidente di Nintendo, è stato chiesto come la società intenda affrontare questo problema. La risposta è stata proprio questa: “I nostri team di sviluppo stanno escogitando diversi modi per mantenere il nostro approccio tradizionale alla creazione di giochi, nonostante la crescente scalabilità e durata dello sviluppo. Riteniamo importante effettuare gli investimenti necessari per uno sviluppo più efficiente. Inoltre, crediamo che sia possibile sviluppare software di gioco con periodi di sviluppo più brevi, che tuttavia offrano ai consumatori un senso di novità”.
Nulla di avveniristico. Se ci metti meno tempo a creare qualcosa, allora spendi meno e tutto il resto diventa meno rischioso. Non servono 5 anni, non servono 10 milioni di copie solo per recuperare i costi di sviluppo.
Ma questa semplice considerazione ne cela un’altra: tempi di sviluppo più piccoli producono videogiochi più piccoli.
E io continuo a non essere convinto che il pubblico si renda conto che poi questi giochi arrivano e hanno meno contenuti oppure una grafica meno incredibile oppure durano meno. Bisogna essere pronti anche a questo.
Per Nintendo questa soluzione non è manco inedita. The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom è un esempio molto recente. Ha un’idea nuova - la possibilità di Zelda di evocare qualunque cosa, dai nemici ai tavoli, che sostituisce l’esperienza di Link in spada e scudo - incastrata in una struttura classica. Pur recepito bene, è stato fin da subito considerato un progetto “minore” nell’eredità della serie. Carino, sì, ma non è Tears of the Kingdom. Non è Breath of the Wild. Due giochi molti più costosi, che hanno richiesto cicli di sviluppo più lunghi.
E allora, a un certo punto, bisogna pur scegliere.
Perché se invece si pretende che i nuovi videogiochi siano grandi e popolati e longevi, allora ha ragione Masahiro Sakurai: bisogna per forza appoggiarsi all’IA generativa per sostenere certi ritmi se è questa la direzione da cui non si vuole deviare. Ma anche questo strumento viene accolto malamente.
Forse, insomma, non si può avere tutto. O accettiamo che i giochi siano più piccoli, magari meno spettacolari, ma più sostenibili. Così da vedere meno persone licenziate, meno fallimenti e meno chiusure dopo pochi mesi. Oppure chiediamo che siano sempre più grandi, ma allora non possiamo scandalizzarci se una qualche azienda prova a usare l’IA per tenere insieme i pezzi.
Il punto è che non basta dire “tornare a fare giochi più piccoli”. Bisogna anche essere pronti a giocarli davvero, quei giochi. A premiarli, a comprarli e a parlarne. Altrimenti restano solo buone intenzioni. E poi si torna da capo: a progetti enormi, rischi enormi e tagli enormi.
Massimiliano
Ha superato il milione di firme e raggiunto lo status di Iniziativa dei Cittadini Europei la petizione “Stop Killing Games”, che chiede nuove regole per impedire che i videogiochi online diventino inutilizzabili una volta che gli editori ne interrompono il supporto. Il superamento di questa soglia obbliga ora la Commissione Europea a considerare la proposta e, eventualmente, avviare un dibattito legislativo.
L’obiettivo dell’iniziativa è garantire che, anche dopo la chiusura ufficiale dei server, i giochi acquistati restino in qualche modo accessibili: attraverso versioni offline, server privati o modifiche tecniche. I promotori parlano di obsolescenza programmata digitale, che danneggia non solo i consumatori ma anche gli sforzi di conservazione del patrimonio videoludico.
Da questo punto di vista, i casi sono ormai sempre di più. Wargaming chiuderà a ottobre Steel Hunters, che ha debuttato lo scorso aprile. Ubisoft ha dato allo sparatutto XDefiant pochi mesi per provare a trattenere delle persone. E in un mondo in cui i Fortnite e i Roblox dominano, ma nonostante tutto tanti ci provano, e quindi il rischio di fallire è davvero alto (chi ha detto Concord?), allora la vita corta dei videogiochi online è un tema.
Daniel Ondruska, uno dei principali sostenitori dell’iniziativa, ha chiarito a Insert Coin che “non chiediamo la cessione dei diritti di monetizzazione, distribuzione o proprietà intellettuale” da parte degli editori. “Ciò che conta è che il gioco rimanga funzionante in qualche forma, non identico, ma accessibile”.
Secondo Ondruska, le soluzioni tecniche possono essere diverse. Per esempio, “si può rimuovere il controllo online, aggiungere funzionalità di hosting peer-to-peer o fornire le API. Le possibilità ci sono, ma alla fine spetta al legislatore scegliere come procedere, dopo un confronto con gli sviluppatori, gli esperti e con noi”.
“Si tratta di una petizione forse troppo focalizzata”, ha commentato Andrea Dresseno, presidente dell’Associazione Italian Videogame Program e figura di riferimento per la conservazione videoludica in Italia. “Si sarebbe potuto fare un discorso più ampio sia per quanto riguarda l'accessibilità (più archivi pubblici), sia per quanto riguarda la tutela del consumatore (per esempio l'accesso a una copia DRM free di ogni videogioco acquistato). In ogni caso, qualsiasi petizione europea che vada nella direzione di salvare anche solo un videogioco, va firmata”. Insomma, pensare a una preservazione allargata, piuttosto che specifica ai videogiochi online.
La campagna ha ottenuto anche un appoggio politico: il Partito Pirata europeo, da sempre attento alle questioni digitali, ha annunciato il proprio sostegno ufficiale all’iniziativa. "Noi Pirati ci siamo sempre opposti al gatekeeping di opere culturali online, quando sono apprezzate e condivise tra le comunità e possono essere mantenute vive dal pubblico", ha detto Markéta Gregorová, membro del Parlamento europeo. "Ho firmato questa iniziativa, in quanto giocatrice, e spero che la volontà popolare faccia sì che le aziende di sviluppo di videogiochi capiscano cosa vogliono i loro clienti".
La base dell’iniziativa è proteggere l’acquisto fatto dai consumatori; e che magari, già dopo pochi mesi, diventa inutilizzabile. Anche i videogiochi gratuiti sono coinvolti. In questo caso, la leva sono le microtransazioni - frequenti in qualunque videogioco gratuito per monetizzare - e quindi i piccoli acquisti che gli utenti fanno, che siano costumi o altro ancora. Affinché questi microacquisti restino validi serve che il videogioco base, anche gratuito, sia operativo: altrimenti quel microacquisto è completamente inutile.
I produttori non sono convinti
La principale obiezione dai produttori è arrivata attraverso Video Games Europe, associazione che rappresenta gli interessi degli editori nell’Unione Europea, secondo cui la decisione di chiudere un servizio online “è complessa, non viene mai presa alla leggera e deve restare un’opzione per le aziende quando un’esperienza online non è più sostenibile dal punto di vista commerciale”.
Inoltre, secondo l’associazione, i giocatori vengono sempre avvisati con “un congruo preavviso” e nel rispetto delle normative sulla tutela dei consumatori. Ma c’è di più: offrire server privati come alternativa “non è sempre una soluzione praticabile”, perché “le protezioni che applichiamo per garantire la sicurezza dei dati degli utenti, rimuovere contenuti illegali e contrastare i contenuti pericolosi nelle community non esisterebbero, lasciando i titolari dei diritti esposti legalmente”.
C’è poi da considerare che molti titoli sono progettati per funzionare solo online e quindi, sempre secondo Video Games Europe, imporre l’obbligo di mantenerli accessibili “limiterebbe la libertà creativa degli sviluppatori, rendendo questi videogiochi troppo costosi da realizzare”.
Al di là della posizione di Video Games Europe, quando si tratta di obblighi così estesi, la principale preoccupazione riguarda sempre quanto potrebbe impattare sviluppatori più piccoli, che hanno ovviamente risorse minori rispetto a una grande azienda come Electronic Arts o Microsoft.
Nonostante queste difficoltà, alcuni esempi dimostrano che delle soluzioni tecniche sono possibili. Lo sviluppatore di Knockout City ha rilasciato una versione “self-hosted” del gioco dopo la chiusura dei server ufficiali. Ubisoft ha annunciato invece una modalità offline per The Crew 2 e The Crew Motorfest.
Ross Scott è da tempo coinvolto nel movimento Stop Killing Games e la sta sostenendo attivamente. Sul tema, ha detto a Insert Coin: “Sebbene non faccia esplicitamente parte dell'iniziativa, è possibile che si raggiunga un altro compromesso con l'UE per consentire l'equivalente di ‘istruzioni di riparazione’ per i giochi in fase di chiusura, includendo documentazione e file essenziali, in modo che i clienti più esperti di tecnologia possano avere una ragionevole possibilità di creare un emulatore di server. Esistono diversi modi per raggiungere questo obiettivo, ma la massima flessibilità spetterebbe all'editore su come raggiungerlo”.
Un altro punto da chiarire riguarda che tipo di esperienza aspettarsi nel caso in cui venga effettivamente chiesto ai produttori di rendere funzionante un gioco anche dopo la chiusura ufficiale.
Nel caso dei grandi videogiochi online, cioè gli MMO, l’iniziativa è molto chiara. “Per i videogiochi più esigenti che richiedono server potenti che un utente medio non ha a disposizione, il gioco non sarà giocabile sulla stessa scala di quando ad ospitarlo erano lo sviluppatore o l'editore”, si legge. “Detto questo, non è un valido motivo per cui i giocatori non possano continuare ad utilizzare il gioco in qualche modo una volta terminato il supporto. Quindi, se un server originariamente poteva supportare 5000 persone, ma la versione per l'utente finale può supportarne solo 500, è comunque un enorme miglioramento rispetto ad una situazione in cui nessuno può più giocarci”.
Insomma, lo scopo del movimento Stop Killing Games non è quello di garantire che il videogioco resti lo stesso per i secoli a venire, anche se viene meno il supporto del produttore. Bensì, è fare in modo che perlomeno esista un metodo, un sistema, una soluzione tecnica tale per non rendere quel software completamente inutilizzabile; anche se ciò implica che, in mancanza del supporto dell’azienda, ci siano, per esempio, meno server attivi o meno funzioni o meno contenuti da esperire. Tutto questo è sempre meglio di zero.
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Sarà lunga
Il dibattito, ora, si sposta in sede europea. La Commissione dovrà decidere se trasformare questa spinta popolare in una proposta concreta.
Questo punto è importante. Innanzitutto, il processo non sarà breve: ci vorrà un anno da oggi prima ancora che la Commissione dica se intende agire o meno. Prima le firme vanno validate; poi la proposta va presentata; poi ci sono incontri con dei rappresentanti della Commissione; poi ci sarà un’audizione pubblica. E solo poi la Commissione si esprimerà.
E comunque, se la Commissione deciderà di procedere, non è automatico che aderirà pienamente alle richieste della petizione: sono necessarie valutazioni d’impatto e colloqui con tutte le parti coinvolte. I produttori, quindi, potranno attivamente contribuire alla costruzione a qualunque cosa verrà prodotta dalla Commissione: non saranno esclusi dal dibattito e potranno chiedere di smussare certe parti. O persino di introdurre alcune eccezioni.
E ancora: anche si decidesse di agire, non è detto che si arrivi a una legge. “Esistono diverse altre misure che potrebbero risultare più indicate”, viene specificato sul sito dedicato. Insomma, niente è scontato.
In ogni caso, il prossimo passo spetterà alle istituzioni: sarà l’Europa a decidere se, e come, impedire che un gioco acquistato oggi possa svanire nel nulla domani.
Le altre notizie, in breve
Epic Games ha chiuso la causa contro Samsung
Epic Games ha annunciato la conclusione della causa che aveva avviato contro Samsung. La disputa legale era iniziata nel 2023, quando Epic aveva accusato Samsung di diffondere dichiarazioni false che danneggiavano la reputazione dei suoi giochi, scoraggiando gli utenti dall’installarli. L’amministratore delegato, Tim Sweeney, ha confermato il ritiro dell’azione legale dopo un confronto diretto tra le parti. Prosegue invece la battaglia legale contro Google.
Un caso attorno a Subnautica 2
Attorno a Subnautica 2 si è sviluppato un piccolo caso mediatico. Innanzitutto, Krafton, il suo editore, ha annunciato il rinvio dell’uscita al 2026, affermando, inizialmente, che la decisione fosse dovuta alla volontà di migliorare la qualità del gioco. Tuttavia, un rapporto pubblicato da Bloomberg ha aggiunto che questo posticipo arriva pochi mesi prima che Unknown Worlds, lo sviluppatore, potesse ricevere un bonus da 250 milioni di dollari legato a obiettivi di fatturato entro il 2025: posticipando Subnautica 2 sicuramente Unknown Worlds non raggiungerà tali obiettivi finanziari. In un secondo momento, Krafton ha confermato l’esistenza di tale bonus, ma ha anche accusato i due co-fondatori, Charlie Cleveland e Max McGuire, di aver “abbandonato le responsabilità che a loro erano stato affidate” e che, in sostanza, “l'assenza di una leadership di base ha portato a ripetute confusioni nella direzione e ritardi significativi nella pianificazione generale del progetto”. Krafton ha anche affermato che Cleveland avrebbe preferito concentrarsi su un progetto cinematografico personale piuttosto che sullo sviluppo di Subnautica 2. Da parte sua, Cleveland ha comunicato di aver avviato una causa legale contro Krafton: “Subnautica è stato il lavoro della mia vita e non lo abbandonerei mai volontariamente, così come non abbandonerei lo straordinario team che ci ha messo tutto il cuore”.
Addio ai voucher Nintendo Switch dal 2026
I voucher per i giochi Nintendo Switch non saranno più acquistabili dopo il 30 gennaio. Si tratta di voucher, acquistabili in set da due, che permettono, alle persone abbonate a Nintendo Switch Online, di risparmiare 10 euro sull’acquisto dei videogiochi per Switch (ma non Switch 2). Verranno quindi dismessi. In ogni caso, valgono un anno e quindi anche chi li dovesse acquistare a gennaio 2026 potrà usarli fino a gennaio 2027.
Lo sciopero di attori e attrici è finito
I membri di SAG-AFTRA, sindacato statunitense che rappresenta attori, attrici, doppiatori, doppiatrici e anche chi effettua performance capture, hanno approvato l’accordo con gli editori di videogiochi. Lo sciopero, quindi, è definitivamente finito. Oltre a introdurre salvaguardie sull’uso dell’IA, l'accordo prevede aumenti della retribuzione degli artisti, più ulteriori aumenti che entreranno in vigore a novembre 2025, novembre 2026 e novembre 2027.
Ancora più in breve
Cyberpunk: Edgerunner è stata rinnovata per una seconda stagione
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Sony ha pubblicato un video di gameplay di quasi 20 minuti di Ghost of Yōtei
Da leggere
Rare Replayed: tre storie da ricordare dopo la cancellazione di EverWild - Pietro Iacullo, The Games Machine
Gli sviluppatori di videogiochi che si sforzano di offrire autenticità e inclusione di fronte all'IA - Keith Stuart, The Guardian
Perché i videogiochi finiscono in un inferno di sviluppo? - Rob Fahey, GamesIndustry
Dicevo più o meno la stessa cosa al giorno-2 di Clair Obscur (che comunque 30-40 milioni li è costati tutti, ok che non sono i 200 di un AAA ma manco così pochi). Bisogna vedere fino a che punto il pubblico ci sta dentro, perché abbiamo detto di sì a Clair Obscur per diversi motivi ma abbiamo detto no manco troppo tempo prima a Prince of Persia The Lost Crown e vediamo cosa diciamo di Mafia The Old Country tra un po'.
Per il resto SAPEVO che avrei trovato il commento di Andrea (e sapevo che le aziende avrebbero detto che non era una cosa "sostenibile" lato loro, al che risponderei "e allora caccia i codici sorgente che è gratis")