Un problema vecchio quanto il videogioco
Cioè quello del lavoro di chi ha speso mesi e anni su un videogioco. Eppure spesso viene lasciato fuori dai riconoscimenti.
Da sempre c’è un livello di confusione quando si parla di videogiochi: si confonde l’aspetto commerciale con quello culturale. Viene confuso il successo, in termini di vendite, di un gioco con ciò che quel gioco può rappresentare o significare. O detto in altre parole: se vende tanto, allora vale tanto; se vende poco, allora vale poco.
Sono due aspetti che è molto importante, invece, scindere. Perché sono due valori differenti: uno - il successo commerciale - ci dice quanto un dato videogioco ha risposto a una domanda di mercato; l’altro - il valore culturale - ci indica invece come un videogioco ha rappresentato la sua storia o i personaggi o le vicende o altri sottotesti che vanno considerati per analizzarne il significato.
Non è una differenza banale.
Non lo è, soprattutto, in fase di valutazione di un gioco, anche a posteriori e a distanza di anni dal lancio. Il ruolo della critica non è quello di valutare se un gioco è degno del suo successo o no; bensì, è quello di verificare cosa ci dicono gli elementi ludonarrativi dell’esperienza, il rapporto che si instaura fra chi fruisce di quell’esperienza e il videogioco rispetto a un contesto più ampio, rispetto a come l’opera si inserisce nella società e cosa dice di quella società.
Non è qualcosa che piace, ormai è evidente: si preferisce dire che “la politica deve stare fuori dai videogiochi” non considerando che la politica non è solamente uno spot elettorale. La politica è ovunque, la politica è tutto: è come scegli di scrivere una storia, quali elementi tieni fuori e cosa scegli di dire; è quale personaggio scegli di mettere al centro e cosa fa e cosa dice quel personaggio; è il nome che dai al videogioco.
Puoi ignorare la politica, ma non puoi ignorare gli effetti che la politica ha sul mondo che ti circonda; un mondo che ovviamente influenza anche i videogiochi. E anzi, a loro volta i videogiochi e come vengono realizzati influenza le percezioni e le idee; consolidarne alcune e storpiarne altre. Come qualunque altra opera culturale.
Ciò significa che il successo o l’insuccesso di un videogioco a livello commerciale nulla ha a che vedere con la componente più politica, con ciò che dice e il significato che ha.
Massimiliano
Abbiamo un problema. O almeno, l’industria dei videogiochi ne ha uno. Un problema così radicato nel modo in cui i videogiochi vengono realizzati, perlomeno dalle aziende più grandi, che è vecchio quanto il videogioco stesso: ancora oggi tante persone vengono tenute fuori dai riconoscimenti finali; da quella lunga lista di nomi e cognomi e ruoli che mette in luce chi ha lavorato affinché un videogioco avesse luogo.
Non si tratta di un problema da poco perché riguarda il modo in cui il lavoro viene considerato e il valore che viene dato a quel lavoro. Ma ovviamente è anche un aspetto che ha profonde ripercussioni sulla vita professionale di chi non viene giustamente e adeguatamente riconosciuto. E se in rari casi si può dibattere sull’inclusione o meno di un nome o di un altro, spesso le aziende lo fanno per ritorsione o potere.
Il caso di Metroid Prime Remastered
La situazione è ritornata a far parlare di sé nei giorni scorsi perché nei riconoscimenti di Metroid Prime Remastered non ci sono i nomi di tutte le persone che hanno lavorato alle versioni GameCube e Wii, su cui ovviamente il gioco è basato.
Nei titoli di coda, invece, c’è un generico riconoscimento che dice che Metroid Prime Remastered è “basato sul lavoro dello staff di Metroid Prime (l’originale per GameCube e la versione per Wii)”.
Ovviamente, chi ci ha lavorato a quelle due versioni non ha mancato di far notare quanto stoni quella frase, che banalizza - anzi, riduce al niente - il lavoro che tante persone hanno fatto.
Perché una rimasterizzazione (o remake: c’è un certo dibattito rispetto a come considerare Metroid Prime Remastered) di un videogioco non è come un remake di un film, che prende nuovi attori e attrici, gira nuove scene, cambia ambientazioni, a volte persino pezzi di storia che viene riscritta da altre persone: per i videogiochi l’opera originale continua a essere fortissimamente presente nella versione moderna.
“Questo è assurdo”, ha detto Jack Matthews, che ha lavorato come ingegnere tecnico capo per Metroid Prime 1 e 2 e ha ricoperto un ruolo simile anche in Metroid Prime 3 quando era in Retro Studios. “Non solo per il mio riconoscimento (anche se la maggior parte del codice è stata probabilmente sostituita), ma per tutte quelle persone il cui codice e lavoro è rimasto largamente invariato, come Mark HH, Steve McCrea, tutta la parte artistica e i concept, il game design. Vergognoso”.
Quanto accaduto attorno a Metroid Prime Remastered, in ogni caso, è soltanto l’esempio più recente di un rapporto complicato con il riconoscimento del lavoro.
Per esempio, circa venti persone non sono state inserite nei titoli di coda di The Callisto Protocol di Striking Distance, ha riportato GamesIndustry. Il problema in quel caso è precisamente politico. Alcune persone se ne sono andate prima che lo sviluppo sia stato completato e il gioco pubblicato; così, come precisa ritorsione non sono state inserite nei riconoscimenti.
Ciò è ancora più incredibile considerato che per chiudere i lavori su The Callisto Protocol le persone hanno dovuto fare gli straordinari. Nonostante ciò, alcune sono rimaste fuori.
Per molto tempo anche la politica aziendale di Rockstar Games, i cui giochi richiedono molti anni di sviluppo, è stata di non riconoscere il lavoro delle persone se quest’ultime se ne erano andate prima che il gioco fosse finito.
Senza dimenticare i tanti casi in cui, per esempio, i traduttori freelance non solo non vengono riconosciuti nei titoli di coda, ma non possono nemmeno citare il gioco nel loro curriculum vitae.
Se ne parla dal 1979
La situazione non è legata a sviluppi recenti dell’industria dei videogiochi, ma è storica.
Al punto che il primo easter egg, quello inserito da Warren Robinett di Atari in Adventure, videogioco del 1979, serviva proprio a mostrare il suo nome su schermo.
Al tempo Atari stava cambiando. Nel 1976 il co-fondatore, Nolan Bushnell, l’aveva venduta a Warner Bros. La nuova dirigenza, rappresentata dall’amministratore delegato Ray Kassar, cambiò molte cose e, fra le altre, tenne una politica meno amichevole rispetto a Bushnell: i programmatori erano sostituibili; erano ingranaggi che poco potevano pretendere e come tali andavano trattati.
Il che, peraltro, suona ancora più incredibile considerato che in quel periodo letteralmente i videogiochi venivano realizzati da una sola persona, con al massimo qualche contributo dal lato artistico o di marketing.
La politica aziendale però era chiara: Atari non riconosceva il lavoro del programmatore; il suo nome non doveva apparire.
Per cui, la scelta di Robinett fu uno spartiacque: una persona scelse di aggirare il codice per mostrare ai giocatori più arditi chi c’era dietro all’esperienza che si trovavano sullo schermo.
La cosa fu doppiamente furba perché l’easter egg era ovviamente nascosto e perciò venne scoperto quando ormai centinaia di copie fisiche del gioco erano nei negozi ed erano state acquistate. Parliamo di tanto tempo fa: riprenderle e modificarle era impensabile.
L’intervento di Robinett però non aiutò a cambiare la politica di Atari, nonostante il problema fosse molto sentito. Non a caso, società nate da ex dipendenti di Atari, come Activision e Imagic, vantavano il nome dei programmatori sulle copertine dei videogiochi. Invece Atari continuava a non farlo.
“Era un gioco di potere per evitare che i game designer ottenessero il riconoscimento e quindi [avessero] più potere in fase di negoziazione”, ha detto Robinett durante un’intervista.
Il nome che doveva infilarsi nella testa delle persone era quello di Atari; non quello di Warren Robinett o di Howard Scott Warshaw, che prima di creare lo sfortunato E.T. - ancora oggi ritenuto il peggior videogioco della storia del settore - lavorò a due grandi successi per Atari 2600, cioè Yars’ Revenge e Raiders of the Lost Ark (basato sull’omonimo film di Steven Spielberg).
In Yars’ Revenge, per esempio, a un certo punto e in certe condizioni appare “HSWWSH”. Le iniziali di Howard Scott Warshaw, lette da una parte e dall’altra.
Ogni azienda fa da sé
Oltre quarant’anni dopo, il problema rimane lo stesso. In mancanza di un esplicito riconoscimento, viene impattata la carriera delle persone. Si tratta di non poter provare di aver lavorato, anche per tanto tempo, a un videogioco con evidenti ripercussioni sulle possibilità di presentarsi a un’altra azienda con un certo storico professionale. Aver lavorato o meno a produzioni riconosciute può fare la differenza fra avere un nuovo lavoro o non averlo.
Le linee guida della International Game Developers Association (IGDA) suggeriscono che nel caso delle riedizioni che “includano una parte o interamente il lavoro originale”, tutte le persone che hanno lavorato all’originale “dovrebbero essere riconosciute prima dei nuovi riconoscimenti legati all’adattamento o alla riedizione, poiché il lavoro che è stato acquistato dal consumatore è fondamentalmente il contenuto originale” negli aspetti principali.
Più in generale, le persone che hanno contribuito per meno del 5% del tempo totale di sviluppo o per al massimo 30 giorni dovrebbero comunque essere riconosciute in una sezione di “ringraziamenti speciali”.
Però le linee guida della IGDA sono facoltative; quindi, alla fine le aziende si muovono singolarmente.
Si tratta di un problema storico, sistemico e strutturale. Si tratta di bilanciare il rapporto fra chi lavora e chi il lavoro lo organizza ed è anche per ragioni come queste che in varie società di videogiochi stanno nascendo dei sindacati: per negoziare condizioni lavorative migliori.
La situazione però è molto acerba: i sindacati rimangono pochissimi rispetto alla totalità delle aziende attive e spesso riguardano uno specifico reparto dell’azienda, come quelli di controllo qualità, il che rende difficile organizzare condizioni generalmente migliori per tutti.
Così ancora oggi, come nel 1979, bisogna passare per vie traverse per farsi riconoscere il lavoro svolto e non rischiare di essere lasciati indietro.
Le altre notizie, in breve
IEM: i G2 campioni di CS: GO, in Starcraft 2 vince Oliveira
All'Intel Extreme Masters di Katowice, importante occasione competitiva, i G2 hanno vinto il torneo di Counter-Strike: Global Offensive, battendo in finale gli Heroic alla meglio delle cinque partite. A proposito del gioco, ha superato pochi giorni fa il picco di giocatori connessi contemporaneamente su Steam: 1,32 milioni.
Il torneo di Starcraft 2 dell'IEM, invece, è stato vinto da Oliveira, che ha battuto Maru in finale. L'italiano Reynor è stato sconfitto ai quarti di finale proprio da Oliveira.
La prossima Overwatch League sarà un po' diversa
La nuova stagione comincerà a marzo (anche se la OL vera e propria partirà ad aprile) e sarà rivisitata e ridimensionata, con una struttura siile simile a quella dei tornei di League of Legends: ci saranno uno Spring Stage e un Summer Stage, con in mezzo un Midseason Madness e dopo il secondo le gran finali. Ne scrive meglio Francesco Lombardo su Esportsweb.
Le vendite di PS5 stanno accelerando
A gennaio le vendite di PlayStation 5 in Europa sono cresciute del 202% su base annua, secondo la rilevazione di GSD. Mentre le vendite di Nintendo Switch e Xbox Series X|S sono calate. A gennaio sono state vendute 493 mila console, il 15,5% in più rispetto a gennaio 2022. I dati di GSD non considerano il Regno Unito; dove però le vendite di PS5 sono comunque raddoppiate rispetto a gennaio 2022.
In Giappone PS5 ha registrato la sua miglior settimana dal lancio e negli Stati Uniti è stata la console più venduta a gennaio, sia per volume sia a valore, secondo l'elaborazione di NPD. E ciò, dopo che fra ottobre e dicembre Sony ha registrato il miglior risultato trimestrale dal lancio con oltre 7 milioni di PS5 distribuite.
Un po’ di risultati finanziari
Le azioni di Roblox, società proprietaria dell'omonima piattaforma, sono cresciute fino al 26% dopo che ha annunciato risultati migliori rispetto alle attese per il quarto trimestre del 2022. In particolare, le persone attive ogni giorno sono state 58,8 milioni, una crescita del 19% su base annua, e hanno speso oltre 12,8 miliardi di ore complessivamente in Roblox. Nel 2022, in ogni caso, Roblox ha perso 934 milioni di dollari e ha anticipato che prevede di continuare a presentare conti in rosso ancora per un po' di tempo.
Nel 2022 Supercell (Clash of Clans, Boom Beach) ha ricavato 1,77 miliardi di euro, il 6% in meno rispetto al 2021 in linea con il calo generale dei videogiochi mobile.
I ricavi di Ubisoft fra ottobre e dicembre 2022 sono cresciuti su base annua, ma sono scesi gli utili. Ciò è stato dovuto soprattutto a un calo evidente (-27%) del cosiddetto “back catalogue”, cioè di quei giochi usciti da tempo e che hanno perso il loro traino, sebbene il numero di persone attive nei giochi di Assassin’s Creed è cresciuto del 30%, arrivando a un livello record. La dirigenza ha confermato che prevede di perdere 500 milioni di euro come risultato annuale, ma che nell’anno fiscale successivo guadagnerà 400 milioni.
Fra ottobre e dicembre 2022 i ricavi di Embracer sono scesi a causa di un “confronto difficile” con l’anno precedente e meno uscite di spessore rispetto al 2021. La dirigenza ha citato la buona prestazione di Goat Simulator 3. La maggior parte dei ricavi è derivata dai giochi da tavolo
Horizon Forbidden West in PlayStation Plus
Per questo mese, i nuovi giochi aggiunti al catalogo dei piani Extra e Premium di PlayStation Plus sono interessanti: partendo da Horizon Forbidden West, fino a Resident Evil 7, The Forgotten City, Scarlet Nexus, Tekken 7, Borderlands 3 e Outriders.
Parliamo di Atomic Heart e Mundfish
Sta per uscire Atomic Heart, videogioco ambientato in una Russia alternativa. Le vicissitudini dello studio che ne è responsabile, cioè Mundfish, sono al centro di varie discussioni: pur avendo sede a Cipro è composto perlopiù da persone russe e non si è mai apertamente schierato sull’invasione dell’Ucraina. Inoltre, fra i suoi investitori ci sono persone molto vicine al governo russo. Ne parla approfonditamente Joshua Wolens su PC Gamer.
Il fondo sovrano saudita ha aumentato le quote in Nintendo, Take-Two ed EA
Il Public Investment Fund saudita ha investito ulteriormente in alcune società di videogiochi. In particolare, come fa notare Axios, la sua quota in Electronic Arts è salita al 5,8% e quella in Take-Two al 6,8%. La quota in Nintendo è cresciuta fino a oltre l’8%. Inoltre, ha investito 265 milioni di dollari nella cinese VSPO, agenzia che gestisce varie organizzazioni di esport.
Infine, qualche lettura
Come sarebbe un panorama dominato da Game Pass? [Rob Fahey, GamesIndustry]
Stiamo assistendo alla morte del franchise di Halo? [Kanishka Thakur, VG247]
Come Helsinki è diventata la capitale mondiale dei videogiochi mobile [Steffan Powell, BBC]
Come Nintendo è rimasta l’azienda tecnologica più innovativa del nostro tempo [Keza MacDonald, The Guardian]
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Ogni tuo articolo introduce sempre elementi di riflessione che aprono la mente in maniera intelligente e con un approccio reale al mondo che ci circonda, non solo a livello di videogiochi. Questa newsletter è la dimostrazione che si può parlare di argomenti considerati da alcuni marginali, ma che invece finiscono per essere uno dei tasselli che compongono la nostra quotidianità. Il valore del lavoro di chi produce i VG e il loro riconoscimento sono parte viva e reale di una politica economica e sociale che tende ad emarginare coloro che in qualche maniera sono comunque più deboli nelle grandi produzioni, che hanno oltretutto un impatto economico molto importante. Il lavoro e l’apporto di ciascuno devono essere riconosciuti sia economicamente che nei crediti, così come si diceva per i traduttori che localizzano i VG. Manca una sindacalizzazione di base che contratti con i grandi big delle regole comuni che non siano solo consigli, ma vincoli effettivi. Grazie ancora per il tuo lavoro Massimiliano. Alla prossima