GTA 5: preservare o cambiare?
Nei giorni scorsi, Out Making Games, che rappresenta professionisti che lavorano nel mondo videoludico appartenenti alla comunità LGBTQ+ nel Regno Unito, ha scritto una lettera aperta chiedendo a Rockstar Games di rimuovere i contenuti transfobici (alcuni dei quali raccontati da Kotaku) presenti in GTA 5. D'altronde, nel 2022 uscirà un'altra versione: è un'occasione ghiotta per aggiornare un gioco che è stato pubblicato la prima volta nel 2013.
L'ultima puntata del podcast di GamesIndustry, in cui è stato discusso l'argomento, mi ha fatto riflettere su come Rockstar Games potrebbe gestire questa situazione. Ci sono tre opzioni. La prima: non cambia niente e lascia il gioco così com'è.
La seconda: un po' come sta accadendo con i vecchi film Disney, potrebbe inserire un avviso all'inizio del gioco in cui evidenzia che i contenuti risalgono a un momento (il 2013) in cui la sensibilità su questi temi era minore e quindi di interpretare certe situazioni alla luce di tale prospettiva.
La terza: cambiare il gioco, rimuovere i contenuti e aggiornare i personaggi stereotipati.
Trovo, in particolare, che valutare la scelta migliore fra la seconda e la terza opzione sia interessante perché impatta sul dibattito della preservazione. GTA 5 è uno dei giochi più venduti di sempre (ha venduto 150 milioni di copie): si può perciò assumere che ciò che gli accade e il modo in cui viene gestito abbiano una rilevanza per certi versi storica. Cosa è meglio fare: cambiarlo o lasciarlo com'è? La questione è complessa perché, di fatto, il GTA 5 del 2013 già oggi non lo abbiamo più: il gioco è stato aggiornato ed espanso, soprattutto la componente online, dozzine di volte.
Insomma: GTA 5 è un gioco di una tale valenza per cui bisogna cercare di preservarne, per quanto possibile, l'identità originale (e quindi inserire un avviso, ma senza mutare i contenuti) oppure è il caso di cambiare e aggiornare i contenuti, qualcosa che un'azienda come Rockstar Games potrebbe fare se lo volesse davvero?
Preservare o cambiare? Scelte e conseguenze.
Massimiliano
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Chiamale, se vuoi, emozioni
Ho avuto il piacere di parlare con Lorena Rao (che ha firmato e firma articoli per Stay Nerd, Fanpage e Badtaste) di videogiochi, stampa e rapporto con i lettori. La chiacchierata si è spostata a parlare di emozioni e di come i videogiochi le suscitano. Ne è uscita un'intervista molto interessante: Lorena ha tante cose da dire e tutte interessanti e io ne ho estratte soltanto una briciola. Puoi seguire Lorena su Facebook e su Instagram.
Massimiliano: Quando parliamo del rapporto disordinato che si è creato fra stampa e giocatori, tendiamo a puntare il dito verso le abitudini dei lettori e le dinamiche dei social network. Come stampa che errori facciamo?
Lorena: La situazione è complessa. Lato stampa, anche noi abbiamo una responsabilità. Non ti saprei dire da quando è iniziato, ma il tipo di narrazione usato da un po' di tempo dalla stampa è fuorviante. Ritengo anche che nell'ultimo periodo la stampa sia migliorata.
Il problema con gli utenti è legato, secondo me, a un tipo di narrazione che punta sull'hype, a formare aspettative; quindi, quando il gioco non rispetta le aspettative, apriti cielo. Lo stesso vale per le questioni legate ai dibattiti sociali, al genere o all'inclusività. È una narrazione finalizzata a suscitare un sentimento di "pancia".
Recentemente, un collettivo di sviluppatori e sviluppatrici ha chiesto a Rockstar Games di rimuovere dei contenuti transfobici nella prossima edizione di GTA 5. È stato riportato dalla stampa italiana come l'ennesimo urlo delle minoranze che non accettano la maggioranza. Andando ad approfondire gli aspetti collegati a questa notizia, in primis la lettera aperta e poi l'articolo di Kotaku che spiega le rappresentazioni fuorvianti in GTA 5, diventa chiaro che il discorso è molto più strutturato e si rifà a un gioco uscito originariamente nel 2013. La nuova edizione uscirà nel 2022 e viene chiesta l'accortezza di una modifica dei contenuti che di base sono stereotipati.
Se una notizia così viene banalizzata, allora crei la polemichetta.
Ci vorrebbe un'informazione più strutturata perché parliamo di temi importanti e che hanno ripercussioni nella società in cui viviamo.
Io penso però che, nonostante questi errori, la stampa stia migliorando. Noto sempre più spesso la presenza di persone esterne alla stampa, che magari fanno parte del mondo accademico o dello sviluppo, e che garantiscono una visione più allargata e approfondita del medium. A poco a poco questo tipo di informazione, che per ora è una nicchia, potrebbe rappresentare il passo successivo per unire lettori e giornalisti.
Parliamo di un medium che sta maturando sempre di più. Il nostro compito è far capire la valenza di questa evoluzione.
Possiamo tracciare la spaccatura fra stampa e lettori nel momento in cui gli utenti hanno potuto parlare in prima persona, i primi anni di YouTube e il passaggio alle riviste online con la sezione commenti; in cui insomma la voce non è stata più solo quella dei giornalisti?
Assolutamente sì. La critica e l'informazione non sono più monopolio della stampa. Al di là degli influencer, chiunque si può aprire un canale YouTube e dire la propria, creare una sua comunità e creare una coralità di voci che va a impattare sul dibattito attuale. Il ruolo dello youtuber, dello streamer, dell'influencer va ad affiancarsi a quello del giornalista; però sono linguaggi diversi.
Mentre le realtà editoriali seguono delle linee editoriali, lo youtuber o lo streamer gioca più sulla personalità e i propri gusti. È interessante anche questo. Sto notando come venga dato valore ala soggettività. Riguardo alla critica, infatti, torna sempre la domanda: conta l'oggettività o la soggettività di chi ha provato il gioco?
Credo che chi fa intrattenimento e divulgazione sul web stia dando spazio alla soggettività, mentre prima, nelle redazioni delle riviste cartacee, le recensioni dei singoli redattori racchiudevano il caposaldo che era poi l'opinione della visione editoriale della rivista. Ora noto come questa soggettività stia venendo inglobata anche dalle redazioni e in questo hanno giocato un ruolo importante le personalità del web.
Nella scorsa puntata della newsletter, ho aperto affermando che mi piacerebbe vedere usata di più la prima persona singolare nelle recensioni e nelle analisi. Come la vedi?
Dipende. Nel caso della recensione mi trovo in difficoltà a usare la prima persona singolare perché sento lo strascico della tradizione italiana. Negli approfondimenti ho sperimentato con la prima persona singolare perché magari voglio risaltare un elemento del gioco che per me specificamente è stato importante.
Al di là dell'influenza del web, è un modo di fare diffuso nel mondo anglosassone. Ancora mi stupisco leggendo le notizie su Kotaku come la loro retorica sia molto informale, spesso infarcita anche di parolacce. Però vedo che funziona.
Se ci fai caso, quando si compravano le riviste di carta, poi si chiacchierava con gli amici. Questa formula, che premia la soggettività, si rifà ai momenti nostalgici in cui ci si confrontava con gli amici. Essendo il videogioco un'esperienza interattiva che esalta il rapporto personale che si crea fra chi gioca e l'alter ego, secondo me è importante far emergere la soggettività di chi gioca e di chi scrive. In Italia effettivamente sta prendendo piede. A me non dispiace.
Il videogioco di per sé è incompleto finché non viene aggiunto il giocatore. Escludere la soggettività, impedisce un'analisi completa.
Assolutamente, concordo. Nel suo recente libro "Il gene del talento" (451, 2021) Hideo Kojima ha inserito varie cose, come libri, anime e film, che hanno influenzato la sua opera. E si parla anche del rapporto che si crea fra il pubblico e l'opera. Soprattutto con il videogioco, Kojima evidenzia come l'autore non sia l'unico possessore dell'opera: anche la community se ne appropria. Il giocatore vive un'esperienza che si lega alla sua soggettività. Lui parlava di Metal Gear Solid e di come volesse che il terzo capitolo fosse l'ultimo, ma è arrivato al quinto perché la comunità sentiva la necessità di altri giochi.
Allora cosa conta: solo l'autorialità o solo il pubblico, che ha un ruolo attivo all'interno del videogioco come essenza? Io concordo con te.
Con Glitch state sperimentando un racconto crossmediale e, almeno in Italia, nuovo. Com'è nato e come sta andando?
Glitch è nato nel 2020, nel pieno del lockdown da un'idea di Claudio Cugliando e altri ragazzi di Stay Nerd. Io partecipo come contributor: mi occupo della stesura dei testi. È un modo nuovo di parlare del videogioco. Io sono abituata a scrivere, ma è bello mischiare la scrittura alla musica, all'immagine e ai testi per dare una prospettiva diversa. Glitch non si pone come una videorecensione: sono spaccati focalizzati su un dettaglio che ha colpito l'autore o l'autrice del testo.
Piccolo spoiler: ho scritto il testo su Disco Elysium incentrato sul rapporto fra passato, presente e futuro e che in questo gioco crolla del tutto e si rifà alla nostra società, dove abbiamo difficoltà a dividere passato, presente e futuro. È una cosa che ho notato io, ma è bello vedere come chi si occupa del montaggio, chi del voiceover, chi della musica assorbe il mio punto di vista e poi viene fuori un prodotto corale.
L'obiettivo di Glitch è creare hype per la cultura. Cerchiamo di diffondere la valenza del videogioco come espressione culturale, che può essere legata a tanti elementi della realtà in cui viviamo. Io come storica mi piace analizzare che tipo di situazioni vengono fatte, ma sono state fatte valutazioni su altri temi, da Firewatch agli esport.
Alcuni sono aspetti profondamente intimi, come la depressione, che abbiamo affrontato in un video su Celeste. Vogliamo fare vedere le tante sfaccettature del videogioco. In base alla sensibilità di chi gioca, il videogioco può assumere vari significati ed è una caratteristica tipica di questo medium rispetto agli altri.
Recentemente è stato pubblicato "Emozioni da giocare" (Poliniani, 2021), che tu hai co-curato. Innanzitutto, che lavoro c'è dietro a curare una simile raccolta e poi come viene approcciato un libro di cultura videoludica?
Non è stato un lavoro facile. Siamo una squadra di cinque curatori e ci ha permesso di entrare in contatto con figure del medium italiano che si approcciano con punti di vista diversi: streamer, giornaliste, influencer, sviluppatori. Abbiamo preso figure professionali per parlare di aspetti intimi come le emozioni, che sono diverse in base a chi gioca. L'obiettivo principale era far capire il potere del videogioco a livello emotivo.
Contenuti come "Emozioni da giocare" hanno difficoltà ad avere un pubblico vasto perché per tanto tempo si è parlato di videogioco solo come di un prodotto. Ma al di là della grafica, il videogioco che ti ha lasciato? Le emozioni intime, come la tristezza o l'orgoglio o la rabbia. Perché quel videogioco ti ha fatto arrabbiare? Parlare di videogioco in senso intimo è possibile perché le sfaccettature sono tante.
Il lavoro è durato anni perché inizialmente abbiamo avuto difficoltà a trovare un editore, che poi abbiamo trovato in Poliniani con suo grande entusiasmo. Devo dire che anche i vari contributor che abbiamo contattato hanno accettato subito e a me questo ha dato grande felicità e fiducia per il dibattito attorno al videogioco: si sente la necessità di dibatterne in maniera più evoluta. Mi piace pensare che questi siano piccoli passi in più per avere quella profondità di cui parlavamo all'inizio.
Curare una simile raccolta prevede anche instaurare un approccio collaborativo con chi ha contribuito e ha inviato il testo, magari chiedendo integrazioni?
Ci sono stati degli scambi. Proprio perché, nel nostro caso, le emozioni sono le protagoniste principali, volevamo assicurarci che chi scrivesse parlasse di un'emozione a lei cara. Una volta mandata la prima bozza c'era una prima revisione, ma non ci sono state vere e proprie correzioni perché è una cosa molto personale e non ci siamo permessi di dire "questo non puoi, questo sì". Erano più correzioni a livello formale. Il rapporto che si è generato è stato molto spontaneo.
In questa intervista abbiamo tessuto due fili: la soggettività e l'emozione. Quindi vorrei chiudere con una nota personale. Quali sono gli ultimi giochi che ti hanno emozionato? Ti emozioni ancora per le stesse cose che ti emozionavano anni fa?
È una domanda bellissima. Io mi emoziono quasi sempre quando gioco, altrimenti non giocherei: è la scintilla principale che mi spinge a giocare. Una delle esperienze più forti dell'ultimo periodo è Disco Elysium. In questo gioco sei un poliziotto che si è dimenticato tutto, persino il suo aspetto, e l'unica cosa che può fare è basarsi sulla sua personalità, che sono poi i parametri di un gioco di ruolo (GDR). Io ho basato il mio personaggi su tratti anche molto diversi dai miei, ma mi sono affezionata a un coinvolgimento che non pensavo che avrei provato.
Per tanto tempo ho giocato ai GDR perché mi davano un senso di potenza: tutto quello che incontravo lo potevo risolvere. In Disco Elysium tutto questo crolla e per un motivo: accetto la sconfitta. È una cosa bellissima perché si avvicina al mondo reale. Mi emoziono soprattutto quando il videogioco si avvicina alla vita reale. Un videogioco è fatto da persone reali, che riversano le loro esperienze e le loro emozioni nel videogioco e a me piace godere di questi sottotesti.
Crescendo i giochi che adoravo ora che ho una sensibilità diversa non mi emozionano più. La Legendary Edition di Mass Effect mi ha fatto rimanere male, soprattutto il primo, che era il mio preferito della trilogia: l'ho trovato di una banalità disarmante, oltre a portarsi dietro i suoi anni a livello di giocabilità. Mi ha lasciato triste non aver provato neanche un senso di nostalgia.
Per alcuni giochi ci sono età e momenti giusti: ho grande affetto per Final Fantasy 8, ma riconosco che tra i Final Fantasy è fra i più brutti mai giocati. Credo che non ritrovarsi più nei giochi del proprio passato sia un'esperienza che chiunque giochi debba provare sia per capire com'è cambiato il medium sia per comprendere come sei maturato tu. È qualcosa di profondo e bellissimo.
Il grosso leak di Twitch
Nei giorni scorsi un utente ha pubblicato su 4chan un archivio, di circa 125 GB, che contiene molte informazioni sottratte a Twitch, fra cui il codice sorgente della piattaforma e i diagrammi di flusso legati alla sicurezza. Altri dati condivisi riguardano i piani di Amazon, che possiede Twitch, per un presunto concorrente di Steam e i ricavi generati da migliaia di streamer da agosto 2019 a oggi.
Twitch ha confermato la violazione e molti streamer hanno confermato la legittimità dei dati divulgati sui loro ricavi.
Twitch ha spiegato che un errore durante la modifica della configurazione dei server ha aperto la porta all'ingresso di una terza parte non autorizzata.
C'è stato un certo feticismo rispetto ai ricavi generati, che ammontano, nei casi migliori, a cifre a sei zeri. Un articolo di Motherboard scritto da Lorenzo Franceschi-Bicchierai ha evidenziato quanto tali dati possano mettere ulteriormente a rischio gli streamer, che già subiscono attacchi di vario genere, dalle false segnalazioni alle forze dell'ordine, che poi fanno irruzione in casa, fino a tentativi di SIM swapping (tentare, cioè, di rubare il numero di telefono per poter ottenere i codici necessari a convalidare l'autenticazione a due fattori che protegge gli account): sapere che guadagnano così tanto potrebbe esporli ancora di più a simili invasioni.
Inoltre, spesso si dice che le streamer femminili, che in sporadici casi puntano sulla propria avvenenza come leva per attirare gli spettatori, possano togliere visualizzazioni agli streamer che creano altri tipi di contenuti. Ebbene, nella lista dei cento streamer che hanno guadagnato di più solo tre sono donne, ha sottolineato Kotaku.
Un resoconto di The Verge, infine, ha rivelato che da tempo Twitch sta sottovalutando i rischi per la sicurezza, sia della sua rete sia degli streamer, per focalizzarsi invece sulla crescita: una violazione simile, secondo ex dipendenti dell'azienda ascoltati, non è una sorpresa.
Come sta andando il gioco di Amazon
Alla fine di settembre Amazon ha lanciato New World, gioco online che permette a tantissimi utenti di giocare contemporaneamente. Dopo uno storico negativo (Amazon ha dovuto cancellare molte sue produzioni per la scarsa qualità), New World è iniziato molto meglio: il giorno del lancio ha radunato 700 mila persone; nei giorni successivi ha raggiunto un picco di oltre 913 mila persone connesse contemporaneamente, secondo le classifiche di Steam.
Lo stesso Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha scritto su Twitter: "Dopo tanti fallimenti e contraccolpi nei videogiochi, ora abbiamo un successo" riferendosi ai buoni numeri registrati da New World e citando anche un articolo di alcuni mesi fa in cui Bloomberg raccontava le difficoltà di Amazon di creare un videogioco nonostante fosse un colosso in tanti altri settori, dal commercio elettronico al cloud.
Quando si parla di un gioco online come New World è difficile giudicarlo: un promettente inizio può diventare una complicata evoluzione. Una simile esperienza richiede un supporto costante e tanti contenuti che giustifichino il ritorno degli utenti. Del gioco, fino a oggi, sono stati apprezzati il combattimenti e il crafting (la costruzione di nuovi oggetti dopo aver raccolto il materiale necessario), sebbene le missioni presenti risultino un po' macchinose.
Anche ai millennial piace mobile
Il mobile non è soltanto un mezzo per i più giovani, che appartengono alla cosiddetta Generazione Z: anche i millennial, intesi come coloro che sono nati fra il 1981 e il 1996, preferiscono giocare su mobile, secondo una ricerca di TapJoy i cui risultati sono stati condivisi da VentureBeat.
L'indagine ha rilevato che l'82% dei millennial gioca su smartphone e solo il 37% su console e il 27% su PC. Per altro, il 70% dei millennial gioca quotidianamente su smartphone.
Un ulteriore elemento che contraddistingue la difficile sfida dell'editoria videoludica: come poter raggiungere persone che fruiscono specialmente di giochi gratuiti (o inseriti in abbonamenti che costano pochi euro al mese) e che quindi sono più portati a provarli direttamente anziché leggerne le recensioni prima dell'acquisto? Per ora la stampa specializzata sembra aver alzato bandiera bianca, rinunciando a coprire dignitosamente il mondo mobile, le sue complessità e la sua evoluzione, salvo alcune eccezioni molto popolari e che sono soprattutto le trasposizioni di giochi console o PC (come Fortnite e PUBG).
Meno l'informazione videoludica sarà capace di trovare un modo di comunicare anche con queste persone (tramite gli articoli, tramite Twitch o tramite i social network) e meno riuscirà ad avere un suo senso in futuro: perché le persone che giocano su console o PC saranno una porzione sempre minore della totalità dei giocatori.
Non è una sfida semplice; ma è una sfida che va considerata.
Dissonanza ludogiornalistica
Uno degli obiettivi che mi sono prefissato con questa newsletter è di dare visibilità e spazio ai contenuti e ai progetti videoludici italiani che tentino strade nuove. Fra le varie cose che mi piace far notare, ci sono anche episodi che mostrano come ci si possa confrontare a distanza in modo interessante e costruttivo. Situazioni che, purtroppo, sono rare.
Perciò, ti segnalo un articolo di Francesco Fossetti, responsabile editoriale di Everyeye, sulla dissonanza ludonarrativa (l'idea, cioè, che il racconto che un videogioco realizza con la storia contrasti con ciò che racconta, invece, giocandolo). Nel pezzo, Fossetti sottolinea come tale caratteristica, che spesso contraddistingue i giochi a mondo aperto (dove il giocatore si prende il suo tempo anche quando la storia racconta momenti di grande concitazione), non debba essere un metro di giudizio negativo o positivo usato dalla critica videoludica. A suo dire, in particolare, poiché nei videogiochi è l'utente che, di fatto, decide i tempi e i modi, la dissonanza ludonarrativa, specialmente per i giochi a mondo aperto, è spesso inevitabile: è quasi una caratteristica del medium stesso.
All'articolo è seguita una risposta di Claudio Cugliandro, giornalista di Stay Nerd, nel quale, pur concordando con alcuni aspetti esplicitati da Fossetti, sottolinea che "il concetto di dissonanza ludonarrativa ci permette di capire tantissimo di ciò che un gioco dice, vorrebbe dire o finisce per dire anche senza volerlo"; perciò, decifrare cosa è stato detto, come e perché da uno sviluppatore è importante per analizzare appieno una produzione.
Ti consiglio di leggerli entrambi.
L'economia degli esport in Italia
Finalmente, abbiamo alcuni importanti dati sul giro d'affari degli esport in Italia. La fotografia economica presentata da Nielsen e IIDEA, associazione di categoria che rappresenta gli editori e gli sviluppatori di videogiochi in Italia, fissa in una forbice fra 45 e 47 milioni di euro le spese dirette effettuate dalle organizzazioni di esport, dagli organizzatori di tornei e dagli editori per le persone coinvolte in questo mondo.
Il riferimento è agli stipendi dei giocatori, alle spese di trasferta e a tutti i costi associati, direttamente e indirettamente, al mondo degli esport. Si tratta di una fotografia parziale: non sappiamo qual è il giro d'affari complessivo delle sponsorizzazioni o dei biglietti per gli eventi dal vivo (fermi nel 2020 e nel 2021, a dire il vero), per esempio, e quindi di quale sia il reale peso degli esport, almeno in Italia.
L'aggiornamento del rapporto sugli spettatori degli esport ha invece rilevato un lieve aumento della base di appassionati (saliti a 475 mila persone) che seguono gli esport tutti i giorni. È cresciuta del 15% la quantità di persone che seguono gli eventi competitivi almeno una volta a settimana: sono 1,62 milioni di persone in Italia.
Intanto, in settimana ci sono stati gli Italian Esports Award, a cui ho partecipato come giurato. I vincitori:
Miglior team italiano: Qlash
Migliore giocatore italiano: Riccardo "Reynor" Romiti
Miglior caster italiano: Emiliano "Moonboy" Marini
Miglior creatore di contenuti italiano: Dario "Moonryde" Ferracci
Miglior evento italiano: eSerie A TIM
Miglior attivazione commerciale italiana: Machete Gaming X McDonald's
Esport dell'anno: League of Legends
Esport dell'anno secondo il pubblico: Rainbow Six Siege
Le altre notizie in breve
Rockstar Games ha annunciato una raccolta rimasterizzata di GTA 3, GTA: Vice City e GTA: San Andreas che uscirà su PC, console e mobile. Nei prossimi giorni le attuali edizioni dei tre giochi saranno rimosse dai negozi digitali.
Sono uscite le recensioni di Alan Wake Remastered: è piaciuto. Anche Metroid Dread. JETT: The Far Shore molto meno. Far Cry 6 un po' di più.
Il profitto operativo che Apple genera dai videogiochi è maggiore di quello di Nintendo, Sony, Activision Blizzard e Microsoft insieme.
Sora di Kingdom Hearts sarà l'ultimo lottatore ad aggiungersi al roster di Super Smash Bros. Ultimate. Inoltre, praticamente tutti i Kingdom Hearts arriveranno su Switch, ma saranno giocabili solo in streaming.
Nei primi nove mesi del 2021 le aziende di videogiochi hanno raccolto 71 miliardi di dollari di finanziamenti.
Lo sviluppatore di Axie Infinity, gioco che propone gli oggetti virtuali come NFT, ora vale 3 miliardi di dollari.
A FIFA 22 stanno giocando 9,1 milioni di persone. Inoltre, Electronic Arts, produttore del gioco, ha detto che sta valutando di cambiare nome alla serie. Alle loot box, invece, non vuole rinunciare.
Xbox Cloud Gaming ora è supportato dalle capacità hardware di Xbox Series X personalizzate.
"Presente e futuro del giornalismo videoludico?" [Francesco Toniolo, Frequenza Critica]:
"'Qual è, o quale dovrebbe idealmente essere, l’obiettivo primario di una persona che si occupa di giornalismo videoludico? È quello - posto il riuscirci o meno - di aiutare un videogioco a vendere? Oppure altro?'"
Genshin Impact, Honor of Kings e PUBG Mobile: i tre giochi mobile che hanno generato più ricavi a settembre.
Resident Evil 7 ha venduto dieci milioni di copie.