Epic Games ha vinto o ha perso contro Apple?
Quella che stai leggendo è una puntata di Insert Coin un po' diversa dal solito: è stata pensata, progettata e scritta insieme con Claudio Magistrelli, giornalista che ha firmato e firma articoli per Rolling Stone, The Games Machine e Players. Lo puoi seguire su Twitter e su Instagram.
Ho deciso di co-condurre questa puntata perché sto coltivando questa newsletter come un terreno neutrale: uno spazio in cui il dibattito sia ragionato e costruttivo e in cui non esistono partigianerie. E l'idea di farla con qualcun altro condividendo questo spazio mi sembrava congeniale a tale obiettivo.
Ho sempre apprezzato il lavoro di Claudio, i cui pezzi ritengo siano onesti e diretti senza essere né grezzi né compiacenti. Lavorare insieme con lui è stato molto interessante; ed è stato ciò che mi serviva per rifiatare un attimo dalla conduzione solitaria che temo possa portarmi a essere autoindulgente e autoreferenziale. Per cui, aspettati di vedere più spesso puntate di questo tipo.
Abbiamo deciso di comune accordo di non firmare i vari approfondimenti che leggerai qua sotto: alcuni li ho scritti io, altri Claudio. Entrambi sono figli dello stesso approccio: far capire cosa succede nell'industria videoludica nel modo più semplice possibile e tentare di andare un po' più sotto della superficie.
Spero che anche a te questa puntata piaccia quanto è piaciuto a noi scriverla.
Massimiliano
Epic Games contro Apple: la sentenza
È arrivata la sentenza della causa legale intentata da Epic Games, produttore di Fortnite, contro Apple: quest’ultima non rappresenta un monopolio nel settore dei videogiochi mobile, secondo la giudice Yvonne Gonzalez Rogers; ma entro il 9 dicembre dovrà permettere agli sviluppatori di qualsiasi applicazione sull’App Store, negozio digitale di iOS, di proporre metodi di pagamento alternativi al suo, da cui trattiene il 30%. Tali metodi, però, potranno essere pubblicizzati con link che portano verso l’esterno (sul sito ufficiale della società, per esempio) o via email: non saranno quindi interni all'applicazione.
Breve riassunto delle puntate precedenti. Ad agosto 2020 Epic Games ha introdotto di soppiatto un aggiornamento in Fortnite su iOS e Android che permetteva di eludere il sistema di pagamento di Apple e Google per aggirare il 30% che trattengono le due società su ogni transazione. Fortnite è stato rimosso per aver violato le condizioni del servizio: su iOS non è ancora tornato, mentre su Android può essere giocato scaricandolo dal sito ufficiale e installandolo, quindi, al di fuori del Play Store di Google. Epic Games ha fatto causa ad Apple e Google. Fine del breve riassunto.
La sentenza, di fatto, dà ragione perlopiù ad Apple: non è un monopolio nel settore che la giudice ha definito come il contesto della diatriba (i videogiochi mobile); la rimozione di Fornite dall’App Store di iOS è stata legittima e, anzi, Epic Games dovrà pagare almeno 3,6 milioni ad Apple come risarcimento per aver violato il contratto che aveva sottoscritto. La quota del 30%, secondo la giudice, è stata scelta molti anni fa, quando è nato l’App Store, e non è una conseguenza di una posizione dominante di Apple.
Il fatto che nonostante la concessione agli sviluppatori Apple senta di aver vinto è evidente dalle dichiarazioni che le due società hanno rilasciato dopo la sentenza. Apple ha sottolineato che “la Corte ha sostenuto ciò che già sapevamo: l’App Store non viola le leggi sull’antitrust” e che “il successo non è illegale” (lo ha detto la giudice e Apple lo ha ovviamente evidenziato). I legali di Apple hanno dichiarato di essere compiaciuti dalla sentenza.
Apple non dovrà rivedere il 30% che trattiene dalla maggior parte delle transazioni (fa un’eccezione per i piccolissimi sviluppatori riducendo la quota al 15%) e non sarà nemmeno obbligata a permettere di installare negozi di terze parti (come accade su Android): ne esce piuttosto pulita. Anzi, si potrebbe dire che Apple sia rinvigorita rispetto a prima perché ora può vantare una sentenza a suo favore in un dibattito (la concorrenza) che negli ultimi mesi è diventato molto contrario a Big Tech (quindi anche Amazon, Facebook, Google etc). Secondo la giudice, Epic Games non è riuscita a fornire abbastanza prove per convincerla che Apple sia un monopolio.
Più amare invece le parole di Tim Sweeney, fondatore di Epic Games: “La sentenza di oggi non è una vittoria né per gli sviluppatori né per gli utenti. Epic sta combattendo per una concorrenza giusta tra i metodi di pagamento nelle app e nei negozi di app per conto di un miliardo di utenti” ha scritto su Twitter. Sweeney ha aggiunto che Fortnite tornerà su iOS “quando e dove Epic potrà offrire i pagamenti in-app in un contesto di equa concorrenza con il sistema di pagamento di Apple”.
Perché Epic è contrariata? Perché è consapevole che eludere il 30% di Apple solo tramite un link che porta fuori dall’app è scomodo: gli utenti sono restii quando ci sono troppi passaggi da fare per pagare; quindi il rischio è che non lo usino e continuino a preferire il sistema di Apple, molto più veloce e integrato. Epic chiedeva di poter inserire direttamente nell'applicazione un altro metodo di pagamento che non prevedesse il pagamento del 30% ad Apple. Richiesta che, come detto, è stata respinta.
Secondo molti esperti ascoltati da Reuters, la causa contro Google, che non è ancora nemmeno cominciata, potrebbe essere più difficile di prima: la posizione di Epic ne esce indebolita; quella dei proprietari dei negozi digitali, invece, rafforzata. Diversamente da Apple, Google già permette di installare negozi di terze parti e persino di installare le app singolarmente tramite una procedura chiamata sideloading su Android. Se il 30% non è anticoncorrenziale, allora Epic e gli altri sviluppatori che armi hanno contro Google? Ciò potrebbe quindi spingere le aziende a sostenere un più radicale aggiornamento delle leggi antitrust anziché portare le grandi società in tribunale - mossa che evidentemente non funziona.
Gli annunci del PlayStation Showcase
Nei giorni scorsi si è tenuto un PlayStation Showcase, presentazione di circa quaranta minuti in cui Sony ha mostrato alcuni dei giochi principali in arrivo su PS4 e PS5 nel prossimo futuro. L’evento era atteso perché Sony non ha partecipato all’E3 dello scorso giugno e successivamente ha tenuto solo presentazioni minori.
Gli annunci:
il prossimo God of War si intitola ufficialmente God of War Ragnarok ed è stato trasmesso un nuovo trailer. Il direttore del gioco non sarà Cory Balrog, ma Eric Williams che, con un ruolo o un altro, ha sempre contribuito alla realizzazione dei vari capitoli della serie;
Insomniac Games sta lavorando a Spider-Man 2 (che uscirà nel 2023) e Wolverine, senza data. La società ha detto che sono in sviluppo solo per PS5;
Gran Turismo 7 debutterà su PS4 e PS5 il 4 marzo 2022;
su PS5 e PC uscirà il rifacimento di Star Wars Knights of the Old Republic. Lo sta realizzando Aspyr, già sviluppatore di altri giochi ispirati a Star Wars come Republic Commando e Jedi Knight: Jedi Academy;
Forspoken, gioco di ruolo di Luminous Production (Square-Enix), arriverà la prossima primavera;
Tchia, avventura ispirata alla Nuova Caledonia e sviluppata da Awaceb, sarà pubblicato nel 2022 su PC, PS4 e PS5;
nel 2022 uscirà su PC e PS5 Uncharted Legacy of Thieves Collection, che include Uncharted 4: La fine di un ladro e Uncharted: L’eredità perduta.
L’evento ha suscitato emozioni contrarie. Poiché i tre principali giochi che gli studi interni stanno realizzando (Horizon Forbidden West, Gran Turismo 7 e God of War: Ragnarok) per il 2022 arriveranno anche su PS4, la percezione (legittima) è che la presentazione di Sony non abbia fatto granché per spingere gli utenti verso PS5 (che comunque sta registrando ottimi numeri ed è la console PlayStation venduta più velocemente).
Al di là di condividere o meno la scelta di Sony di proporre molti suoi giochi anche su PS4 (un cambio di strategia comunicato molto male), a questo evento non ci si poteva aspettare niente più di ciò che poi si è visto. Bisogna però evidenziare una cosa: se lo scorso anno Sony non avesse buttato lì, come una facile esca per acquietare gli utenti nel breve termine, il teaser del nuovo God of War (appena un logo), avrebbe fatto una figura migliore mostrando direttamente il gioco al PlayStation Showcase dei giorni scorsi: sarebbe stato quell’annuncio che, seppur un po’ scontato, avrebbe permesso di rivalutare l’intera presentazione; la "bomba" di fine evento che coccola gli utenti appassionati da generazioni di console.
La stessa cosa, in compenso, è stata fatta con Wolverine: pochi secondi di video, nessuna data di uscita e niente dettagli sulle meccaniche di gioco. Ormai gli utenti sono stati abituati così e disabituarli è complesso e gli effetti, poi, si vedono a medio e lungo termine: quando nel 2022 o nel 2023 Sony tornerà a parlare di Wolverine, gli utenti diranno “lo conoscevamo già” rimanendo delusi perché si aspettavano un’altra sorpresa. Un ciclo infinito difficile da rompere.
È questione di bilanciare le aspettative. Sia da parte degli utenti sia da quella dei produttori, che sembrano ormai preferire la soddisfazione a breve termine in un gioco a rincorrersi che sta producendo solo problemi.
Baldo e la stampa italiana
Settimana scorsa, questa newsletter si è aperta con una riflessione sull’accoglienza di Baldo, videogioco sviluppato dallo studio italiano Naps Team, e sulla reazione dei giocatori all’assenza di recensioni al day one. Su questo argomento ha scritto un articolo Daniele Dolce, giornalista di The Games Machine, in cui ha ricostruito la sequenza degli eventi che ha portato buona parte della stampa italiana a ignorare l’uscita di Baldo.
Nella sua ricostruzione, Dolce conferma l’arrivo tardivo dei codici review alle redazioni, ma va anche oltre, fornendo dettagli sul funzionamento della sezione news delle redazioni, la cui creazione di notizie è spesso sollecitata dalla ricezione di comunicati stampa arricchiti da video o dichiarazioni. Ciò non si è verificato nel caso di Baldo e ha condannato il gioco italiano all’assenza da quasi tutte le home page dei principali siti di settore.
L’iniziativa di Dolce, pubblicata sul blog collettivo Frequenza Critica, fa parte di quelle buone pratiche citate come auspicio settimana scorsa nell’ottica di una maggior trasparenza tra addetti ai lavori e lettori, in grado di ridurre le polemiche e la sfiducia. Il chiarimento, infatti, nasce come risposta alle numerose critiche insorte online la cui portata è arrivata anche a tacciare la stampa videoludica italiana di snobismo verso le produzioni autoctone e a rivendicare la necessità di chiudere un occhio sui loro difetti in difesa dello sviluppo italico.
L’articolo risponde a queste accuse offrendo una lettura degli eventi dal punto di vista di chi lavora all’interno di una redazione e rivendicando la libertà di critica verso un prodotto comunque afflitto da difetti, benché realizzato da un team italiano per cui si nutre stima.
Le retromarce di Sony
Sony ha cambiato idea: l’aggiornamento dalla versione PS4 a quella PS5 di Horizon Forbidden West sarà gratuito, ha detto Jim Ryan, presidente di Sony Interactive Entertainment. In futuro ottenere la versione di nuova generazione dei giochi realizzati dai PlayStation Studios, compresi i prossimi God of War e Gran Turismo 7, costerà 10 dollari.
Si tratta dell’ennesima retromarcia di Sony negli ultimi mesi. Dopo quella volta in cui aveva annunciato che avrebbe chiuso i negozi digitali di PSP, PS3 e PS Vita, salvo poi cambiare idea. E quell’altra in cui, prima del debutto di PlayStation 5, aveva promesso che i suoi giochi futuri, come il prossimo God of War, Gran Turismo 7 e Horizon Forbidden West, sarebbero stati pubblicati esclusivamente su PS5 e invece, mesi dopo, ha rettificato proponendoli anche come giochi per PS4.
Non è una sorpresa che una multinazionale come Sony sbagli clamorosamente modo di comunicare una novità o persino il modo di dare forma a tale novità. Nei mesi scorsi, altro esempio, Microsoft decise di aumentare i prezzi di Xbox Live Gold, abbonamento necessario per giocare online, prima che le lamentele degli utenti le facessero cambiare idea.
Vanno sottolineate due cose:
Sony (e in generale molte multinazionali) stanno dimostrando di aver perso il contatto con i consumatori continuando a sbagliare gli annunci - o almeno lasciando intendere di non aver preventivato che certe decisioni avrebbero generato polemiche;
tale atteggiamento dà adito agli utenti di sentire di avere un potere efficace contro le multinazionali, se basta un po’ di rumore a far cambiare idea a un colosso come Sony.
Se è legittimo che i consumatori (cioè coloro i quali pagano i servizi prodotti da queste società) facciano sentire la loro voce, tale dinamica rischia di essere abusata: pensare che basti fare un po’ di rumore per ottenere ciò che si vuole. E puntualmente riuscirci.
Telegraph vs videogiochi (vs stampa italiana)
A inizio settimana ha trovato spazio sui siti di settore un discutibile articolo pubblicato dal quotidiano britannico Telegraph in cui l’autrice sostiene, a partire dal titolo, che le persone adulte dovrebbe smettere di sprecare il loro tempo giocando ai videogiochi. È evidente, fin dal titolo appunto, che si tratti del classico editoriale concepito per sventolare un’opinione estrema e polarizzante per suscitare sdegno e attirare click: missione riuscita. Quel che fa impressione è che i videogiochi siano utilizzati a questo scopo persino nel Regno Unito, dove il settore dello sviluppo videoludico ha un giro di affari notevole e, anche per questa ragione, gode di maggiore considerazione.
Forse, per capire meglio il perché di un articolo simile e a chi si rivolge è bene tenere in considerazione l’orientamento fortemente conservatore del Telegraph e del suo pubblico, le cui età media secondo quanto dichiarato dal quotidiano nel 2013 è di 61 anni. Messa in questa ottica la notizia assume tutt’altro risalto: leggendo i commenti sui forum britannici, ben pochi utenti si sono mostrati stupiti da un simile approccio. Spesso, come lettori, tendiamo a conferire una maggiore autorevolezza alle notizie di fonte estera semplicemente basata sulla loro provenienza, senza tenere in considerazione il contesto e la pubblicazione su cui hanno trovato spazio. Si tratta di un meccanismo pericoloso che alimenta la circolazione di fake news, trasformando poche righe di un editoriale su un quotidiano locale in presunte battaglie censorie da sventolare come minacce in prima pagina.
Sul nostrano Corriere della Sera, invece, l’ex ministra per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Paola Pisano ha scritto una lettera aperta in cui invoca anche in Italia l’introduzione di una serie di misure restrittive sull’uso dei videogiochi da parte dei minori come previsto in Cina, pur individuando in queste ultime, cito testualmente, “modalità che graffiano i valori della democrazia, libertà e autodeterminazione”.
Sorvolando sull’uso strumentale delle lettere aperte ai giornali, che politici e quotidiani spesso usano per presentare opinioni decontestualizzate e senza contraddittorio, l’intervento dell’ex ministra e la modalità con cui è stato trattato dal principale quotidiano nazionale denota la tendenziale superficialità con cui la stampa generalista tratta gli argomenti che esulano dalla loro ordinaria narrazione, e in particolare i videogiochi.
Da lettore di quotidiani, di fronte a pagine di questo tipo, mi domando spesso a quante altre imprecisioni e superficialità mi trovi esposto ogni volta che leggo di altri argomenti specialistici su cui non sono altrettanto ferrato.
Da redattore videoludico, invece, spiace osservare come il videogioco goda, quanto meno a tratti, ancora di questa scarsa considerazione sulla stampa generalista. Forse, però, per sperare in una diversa trattazione il cambiamento dovrebbe partire proprio dalla stampa specializzata, che in molte situazioni non esita a riportare qualunque indiscrezione, previsione o persino idiozia sotto forma di news per generare traffico, anche in contrasto con linee editoriali ben più rigorose in altre sezioni del sito. Se non iniziamo noi, insomma, a trattare bene i videogiochi, diventa difficile pretendere che lo facciano gli altri.
Il gioco delle paralimpiadi
Nei mesi scorsi si è parlato molto del gioco che Google ha sviluppato per celebrare le Olimpiadi. Se ne è parlato bene, soprattutto, perché è rappresentativo della cultura del Giappone, che ha ospitato l’edizione più recente; perché è un gioco interessante e molto piacevole, pur essendo un “doodle”, ed è riuscito a creare un genuino senso di competizione fra gli utenti.
Si è parlato meno - in linea con la minore esposizione mediatica della competizione - del gioco ufficiale delle Paralimpiadi: è uscito su mobile, si chiama The Pegasus Dream Tour e oltre a essere un gioco competitivo (per ora sono presenti solo due sport), intende essere un’esperienza online dove i giocatori con disabilità possano esperire qualcosa che è stato specificato ideato per rappresentarli.
Nel gioco, realizzato da JP Games (fondata da Hajime Tabata, meglio noto per il suo lavoro sulla serie Final Fantasy), è infatti possibile personalizzare il proprio avatar con vari tipi di disabilità, dalla carrozzina alla protesi.
The Pegasus Dream Tour, per ora, non sta vivendo una grande popolarità: la pagina del Play Store di Android segna 10 mila installazioni, per esempio.
Boicottare o no?
A inizio settimana, l’allora amministratore delegato di Tripwire John Gibson ha espresso su Twitter il suo sostegno alla contestata legge promulgata del Texas che vieta l’aborto oltre le sei settimane. La dichiarazione ha esposto Gibson a critiche da parte di diversi esponenti di spicco dell’industria, alla minaccia di boicottaggio da parte di giocatori e streamer, nonché alla presa di distanze di numerosi studi che pubblicano i loro giochi sotto l’etichetta di Tripwire. La spirale di eventi ha quindi portato Gibson alle dimissioni e alla nomina di Alan Wilson quale nuovo amministratore delegato della compagnia nel giro di tre giorni.
Nonostante la rapida risoluzione, o forse proprio per questa ragione, la vicenda si presta a diverse considerazioni. Le aziende sono organismi che agiscono all’interno della società e si basano su valori condivisi tra chi ne fa parte. Esprimersi in contrasto con questi valori può avere delle conseguenze, soprattutto se si sostengono posizioni che possono essere mal viste dalla clientela e dagli altri stakeholder. Gibson, di fatto, non si è espresso a favore di pratiche illegali, ma la legge texana da lui sostenuta è piuttosto estremista, per usare un eufemismo, e ha raccolto fortissime critiche ovunque. Tripwire, in fondo, ha tutto l’interesse a vendere i suoi giochi anche fuori dal Texas; si tratta, quindi, della più classica delle decisioni aziendali presa basandosi sulla prospettiva del profitto.
Dal punto di vista del cliente, invece, capire come comportarsi è sempre più complicato. Boicottare un’azienda per le dichiarazioni di un dirigente può portare spesso a conseguenze economiche negative per i dipendenti che vedranno i loro bonus ridotti per le scarse vendite o, nel peggiore dei casi, potrebbero persino perdere il posto. Nelle scorse settimane i dipendenti di Activision Blizzard, dopo la denuncia in California per un ambiente di lavoro sessista, avevano chiesto ai videogiocatori di trovare altri modi per mostrare il loro dissenso nei confronti dell’azienda. Questa volta, però, la semplice minaccia di un boicottaggio ha portato a conseguenze immediate. La realtà, insomma, è sempre sfaccettata e molto difficile sia da raccontare che da decifrare.
Perché ci servono i tutorial
Un articolo scritto da Mac Schwerin sull’edizione internazionale di Wired mi ha fatto riflettere molto. Nell’articolo, l’autore parla dei tutorial, quelle sessioni iniziali del gioco in cui viene spiegato a cosa servono i vari tasti: come si salta, cosa si deve fare per spingere una cassa o per parlare con un altro personaggio. In tali sessioni, che spesso sono presenti anche in momenti più avanzati dell'esperienza, il gioco sta fornendo un manuale di istruzioni per comprendere le dinamiche di un mondo che può esserci alieno. In un certo senso, in quel momento, il gioco ci sta regalando il dizionario per comprendere la sua lingua: i tutorial servono a comprendere cosa quel mondo vuole dirci e come fare per tradurlo in una lingua che invece noi conosciamo.
Esattamente come i gesti delle mani, per esempio, hanno significati differenti in varie parti del mondo, anche ogni videogioco ha un suo linguaggio: e lo spiega per mezzo dei tutorial.
Un esempio di quanto i tutorial servano a far sì che il giocatore si senta parte del mondo del videogioco lo ha fornito Patrice Desilets, fonte creativa di Assassin’s Creed. Nel primo Assassin’s Creed, il protagonista deve rivivere i ricordi di un assassino ai tempi delle Crociate e che è anche un suo antenato; le capacità di quell’assassino, quindi, sono parte del codice genetico del protagonista. All’inizio, però, il protagonista deve apprendere come arrampicarsi e saltare come se fosse un uomo qualsiasi. “Come insegno a un maestro assassino a essere un assassino? Dovrebbe già saperlo” ha detto Desilets. Ecco perché nel secondo Assassin’s Creed Ezio Auditore, assassino dei tempi del Rinascimento italiano, segue grosso modo lo stesso percorso del protagonista moderno: all’inizio del gioco è un pischello qualunque; non è ancora un temibile e abile assassino e ha ancora tutto da imparare. In quel contesto, perciò, il tutorial è funzionale a creare una connessione sia tra i due protagonisti sia tra l’utente, il mondo di gioco e la sua storia.
Parlando di tutorial, inoltre, è impossibile non toccare l’argomento dell’accessibilità.
I videogiochi sono ancora poco naturali per chi non li ha mai esperiti. Chi gioca ai videogiochi da tempo si aspetta di poter sparare con il tasto dorsale destro (nei giochi dov’è possibile farlo) e di saltare con X/A (sto usando come riferimento un controller). Tale dinamica è tutt’altro che scontata per chiunque altro: dai in mano un controller a una persona che non ha mai giocato ai videogiochi o che ne ha giocati pochi e capirai benissimo cosa intendo dirti.
In alcuni casi, il mondo dei videogiochi è diventato un po’ più accessibile, a discapito, però, delle meccaniche di gioco. La console di Nintendo Wii è un esempio classico. Per colpire la palla da tennis devo spostare il braccio in avanti come se stessi impugnando una racchetta: chiunque può relazionarsi con tale immagine anche se non ha mai giocato a tennis o a ping pong.
Il mondo mobile è un altro esempio in cui in molti casi i comandi, vincolati allo schermo touch, hanno reso più facile giocare, anche a costo di limitare le dinamiche ludiche. È anche per questo che il mondo mobile, negli anni, è diventato così rilevante: giocare a Fruit Ninja era molto più semplice e intuitivo di giocare a Super Mario o a FIFA.
Infine, bisogna considerare quanto i tutorial siano fondamentali per non abbattere quel senso di coinvolgimento che l’utente deve provare per dare vita a quel mondo di gioco: un mondo di gioco che - salvo rari casi come gli MMO - non può andare avanti senza l'interazione dell’utente. Se l’utente tenta di fare una mossa, ma non riesce perché non ricorda i comandi oppure il tasto correlato non è lo stesso di quello del gioco precedente, ecco che crolla il castello di carte: si rompe l’illusione di non essere sul divano del salotto ma in un altro mondo.
Allo stesso modo l’utente deve essere accompagnato abbastanza perché sappia come giocare (al di là della difficoltà dell’esperienza) e quindi vada avanti senza spezzare l’illusione, ma non così tanto da far percepire che il gioco stia aiutando l’utente.
Sviluppare i tutorial, insomma, è un gran casino.
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L’espansione di Microsoft Flight Simulator dedicata a Top Gun: Maverick è stata rinviata a maggio 2022 insieme con il film.
Il 5 ottobre debutterà su console PlayStation, Xbox e PC Alan Wake Remastered, che includerà anche le due espansioni.
Sono uscite le recensioni di WarioWare: Get It Together: è mediamente piaciuto. F.I.S.T.: Forged in Shadow Torch è piaciuto un po’ di più. Le recensioni di Life is Strange: True Colors sono state positive. Anche quelle di Tales of Arise.
La Cina ha vietato ai minorenni di giocare per più di 3 ore alla settimana: gli effetti si sono sentiti anche sulle azioni delle società quotate in borsa negli Stati Uniti e in Europa, come Ubisoft ed Electronic Arts, che guardano alla Cina per espandersi.
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Ai Giochi Asiatici 2022 gli esport faranno parte del medagliere.