Cosa fare con l'Arabia Saudita
È sempre più centrale nei videogiochi e negli esport grazie alla sua enorme capacità finanziaria. Ma le violazioni dei diritti umani restano: come comportarsi?
L'Intelligenza Artificiale non è di per sé una novità degli ultimi anni nello sviluppo dei videogiochi. Viene usata da molto tempo; è solo che per tanti anni ha fatto poco rumore ed è stata usata senza che fosse al centro di un’euforia finanziaria e che le grandi multinazionali la cercassero come la nuova frontiera di praticamente ogni cosa.
Il discorso è cambiato perché lo sviluppo degli strumenti basati sull’IA è accelerato tantissimo e gli strumenti di Intelligenza Artificiale generativa sono diventati molti e molto capaci: generano testo o immagini o video in pochi minuti; spesso anche in locale, cioè senza l’ausilio di un server che elabori i calcoli necessari. Gli esempi sono molti e ogni anno che passa probabilmente ne vedremo di più.
Innanzitutto perché l'IA generativa risponde a una domanda esistente: ridurre il tempo che serve per completare certe attività e sviluppare gli stessi videogiochi ma spendendo meno. Una differenza rilevante rispetto, per esempio, ai Non Fungible Token: che hanno avuto vita breve come "nuova grande cosa" nel mondo videoludico.
Non sorprende, dunque, che alle varie grandi società che stanno palesando i propri progetti basati sui nuovi modelli di IA - come Ubisoft o Electronic Arts o Nvidia o Microsoft - ci sia ora pure Embracer.
Nel rapporto annuale, il gruppo ha spiegato che intende usare di più l'IA soprattutto per velocizzare i tempi di sviluppo e rendere più efficiente la logistica. Soprattutto, intende farlo perché altrimenti potrebbe essere superata dai concorrenti.
Un aspetto poco considerato dell'eventuale affermazione di questi modelli è quanto possa influenzare anche coloro che non hanno intenzione di usarla. O per vari motivi non possono.
Se l'aspettativa sarà che nello sviluppo di videogiochi venga usata l'IA generativa per ridurre i costi e i tempi, allora diventerà più difficile - per chi non la usa - farsi accettare una proposta per finanziare un nuovo videogioco. Oppure, un’azienda potrà essere meno allettante di fronte agli occhi di un potenziale acquirente. Perché, in entrambi i casi, sembrerebbe - il progetto o l'azienda - più rischioso e meno conveniente per chi, in sostanza, deve poi metterci i soldi.
Sarebbe un po' come se io provassi a proporre, oggi, un articolo; ma stampandolo e consegnandolo via posta raccomandata. Dall'altra parte, sarei considerato un reperto del passato e quindi mi sarebbe negata una collaborazione.
Ecco. Mi chiedo quanto tempo servirà prima che l’adozione massiccia - che sembra, a oggi, piuttosto rapida - degli strumenti di IA generativa inizi a rappresentare uno standard. E quindi, quanto tempo servirà prima che chi non l’avrà adottata inizi a essere considerato come un reperto del passato e si trovi quindi costretto - lo voglia o no - a usare l’IA generativa a sua volta.
Massimiliano
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Il prossimo 3 luglio, dozzine di organizzazioni di esport, centinaia di atleti e migliaia di appassionati da tutto il mondo si ritroveranno a Riyadh, capitale dell’Aradia Saudita, per la Esports World Cup. In palio ci sono oltre 60 milioni di euro, per un evento competitivo che coinvolgerà 21 videogiochi differenti, fra cui League of Legends, Fortnite, Street Fighter 6 ed EA Sports FC 24.
È il caso più evidente del modo in cui l’Arabia Saudita vuole posizionarsi come centro videoludico internazionale di riferimento.
Per arrivarci, all’inizio del 2022 il fondo sovrano Public Investment Fund (PIF) ha acquisito ESL e FaceIt, due dei più importanti organizzatori di tornei di esport al mondo, e li ha fusi insieme. Ha investito importanti somme in società come Nintendo, Embracer, Electronic Arts, Capcom e Take-Two. Inoltre, la MiSK Foundation - di proprietà del principe saudita Mohammed bin Salman - ha acquisito la maggioranza delle quote di SNK, sviluppatore di serie come The King of Fighters. Mentre lo scorso anno Savvy Games Group, di proprietà del fondo sovrano, ha comprato l’editore di videogiochi mobile Scopely (Monopoly Go) per quasi cinque miliardi di dollari. Il PIF ha messo a disposizione 38 miliardi di dollari per far crescere il settore videoludico nazionale.
Nel grande progetto Vision 2030, il piano di riforme che attraversano molteplici aspetti dell’Arabia Saudita, viene stabilito che i videogiochi diventino l’1% del PIL: circa 21 miliardi di dollari.
L’Arabia Saudita, però, è continuamente raccontata come un luogo dove i diritti umani vengono violati.
I rapporti di organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch e Amnesty International descrivono un quadro difficile, per usare un eufemismo: in cui la pena di morte è frequentemente utilizzata; la libertà di espressione comporta il rischio di essere incarcerati; i diritti delle donne sono ancora limitati; e l’omosessualità è un reato. Inoltre, il principe saudita è ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Kashoggi, ucciso nel 2018.
Ed è forse proprio per questo che i videogiochi sono così rilevanti: perché aiutano a “lavare” l’immagine.
Esattamente ciò che l’Arabia Saudita sta facendo in altri campi, soprattutto lo sport:
ospiterà le finali delle WTA Finals di tennis femminile;
ha creato un circuito di golf, LIV Golf, che poi è stato fuso con il principale circuito statunitense, il PGA;
il fondo sovrano ha comprato il club britannico Newcastle United, che gioca nella Premiere League;
potrebbe ospitare i mondiali di calcio maschile del 2034.
Seppur alcuni cambiamenti ci siano, sono perlopiù limitati alle grandi città, fra cui proprio Riyadh. “Quando vai in una città a un'ora di auto da Riyadh, è letteralmente come trovarsi in una capsula del tempo nella vecchia Arabia Saudita, dove i sessi sono ancora rigorosamente segregati”, ha spiegato Fatma Tanis, giornalista di NPR, raccontando un viaggio in Arabia Saudita in concomitanza con una visita del presidente degli Stati Uniti Joe Biden nel 2022. “E ci sono tutte queste altre regole sociali. La differenza è piuttosto stridente”.
Cosa fare, dunque? Boicottare paesi come l’Arabia Saudita è una soluzione percorribile? Si può davvero far finta che l’Arabia Saudita non sia un soggetto sempre più rilevante nel settore? Se c’è in gioco la sopravvivenza di uno studio, si può avere il privilegio di rifiutare i soldi sauditi?
Scelte e conseguenze
L’interesse verso l’Arabia Saudita è naturale: introduce a un nuovo mercato, a nuovi investimenti e a nuove opportunità commerciali.
Un esempio recente, anche se laterale al videogioco: Red Raion - co-fondata da Antonio Cannata (già fondatore dello studio italiano Stormind Games) e Federico Laudani e specializzata nella produzione di contenuti in computer grafica - ha appena aperto una nuova sede a Riyadh.
“Per quanto riguarda il modo in cui l'industria potrebbe impegnarsi con l'Arabia Saudita per affrontare il problema dei diritti umani, sono scettico sul fatto che le società videoludiche abbiano la leva o la spinta per farlo in modo efficace”, dice Brendan Sinclair, giornalista ed ex managing director di Gamesindustry (al momento dell’intervista ricopriva anche questo ruolo, ndr). “Ci sono limiti a ciò che l’industria dei videogiochi può fare riguardo all’Arabia Saudita”.
Il riferimento va, per esempio, alle società quotate in borsa. Non c’è molto che si possa fare per impedire a un soggetto di acquisire una partecipazione.
“Oltre a ciò, penso che rimanga una scelta che i dirigenti fanno per intrecciare i loro affari con il Regno”, aggiunge Sinclair.
Gli affari sono affari e non è scontato che i casi di violazione dei diritti umani siano considerati una ragione sufficiente per non stringere accordi con il PIF oppure con Savvy Games Group.
“Potrebbero pensare che se la loro azienda non farà affari con il Paese, sarà irrilevante per il Paese ma dannosa per i loro stessi affari, quindi perché no?”, va avanti Sinclair. “Potrebbero sostenere che il vantaggio di mantenere la propria attività in salute e il proprio personale impiegato durante un periodo di massicci licenziamenti in tutto il settore supera qualsiasi danno possa derivarne. Potrebbero semplicemente pensare che le questioni morali o etiche siano irrilevanti quando si tratta di affari”.
La stessa Gamesindustry, ricorda Sinclair, ha scelto di intervistare Scopely perché ha ritenuto che “valesse la pena, qualunque fosse il possibile vantaggio promozionale che avrebbero potuto ottenere, di ottenere informazioni dettagliate sulla creazione di un grande successo mobile come Monopoly Go”.
“Il punto è che persone diverse decideranno di impegnarsi diversamente nelle operazioni e nel denaro sauditi. E sinceramente mi sta bene così”, aggiunge Sinclair.
Dal punto di vista imprenditoriale, quindi, si può disquisire sull’opportunità o meno di interlacciare rapporti con i soggetti sauditi. Però un’altra cosa dev’essere chiara, secondo Sinclair: devi accettare le conseguenze.
“Indipendentemente dal fatto che qualcuno ritenga che le decisioni che prendi siano comprensibili o ammissibili, le tue decisioni non possono fare a meno di riflettere i tuoi valori”, evidenzia. “Le persone hanno assolutamente il diritto di giudicarti in base a questo, quindi dovresti pensarci abbastanza per assicurarti di poter convivere con quel giudizio”.
La situazione degli esport
Negli esport il ruolo dell’Arabia Saudita è forse ancora più evidente.
Dopo anni di grande crescita, il settore sta attraversando il cosiddetto “inverno degli esport”: sono crollati gli investimenti e ciò ha ridotto la capacità finanziaria delle organizzazioni. Così, un paese come l’Arabia Saudita - ricco e disposto a spendere miliardi di dollari per organizzare tornei di esport - è particolarmente benvenuto. Anche perché rappresenta un mercato che offre l’accesso a un nuovo pubblico, altrimenti meno accessibile.
Secondo i dati di Niko Partners ci sono quasi 21 milioni di videogiocatori, e nella regione MENA, che include Medio Oriente e Africa settentrionale, l’Arabia Saudita è il mercato più grande, con ricavi superiori a un miliardo di dollari.
“Arriviamo da un momento in cui tanti sponsor hanno capito che [l’esport] non è così interessante e fruttevole, come sembrava in un primo momento durante il Covid; quindi ci sono meno sponsor, meno investimenti”, evidenzia il giornalista Francesco Lombardo, che conduce il podcast Esports Ready e scrive articoli per Esportsmag e Ultimo Uomo. “Meno investimenti, di cui tanti privati, perché tanti si sono resi conto che non ne vale la pena, che è solo un'operazione di marketing sostanzialmente. Per arrivare a essere remunerativo non c’è un canale diretto, lo si fa in modo differente e diverso. È ovvio che questo tipo di settore trova terreno fertile in quei momenti, in quei paesi, in quei mercati in cui invece ci sono soldi da cui attingere“.
La Esports World Cup Foundation ha anche previsto un programma speciale, il Club Support Program, che supporterà economicamente lo sviluppo di trenta club. Fra questi ci sono le principali organizzazioni di esport del mondo: 100 Thieves, G2, NRG Esports, Team Liquid. Queste organizzazioni “riceveranno finanziamenti a sei cifre per entrare in nuovi titoli esport al livello più alto, diversificando la propria impronta competitiva e offrendo nuove opportunità agli atleti di esport”.
Soprattutto, nel corso degli anni il coinvolgimento dell’Arabia Saudita è stato gradualmente normalizzato. Quando nel 2020 Riot Games, produttore di League of Legends, annunciò una collaborazione con Neom, uno dei progetti urbani sauditi, ci fu un’aspra reazione, che spinse poi Riot Games a tornare sui suoi passi.
Pochi mesi fa, invece, il gruppo Sony ha annunciato una collaborazione pluriennale proprio con la Esports World Cup. Come parte dell’accordo, Sony Pictures realizzerà un documentario del dietro le quinte del torneo, mentre Sony Interactive Entertainment “esplorerà opportunità aggiuntive per supportare i creatori e i talenti più promettenti nella regione”. Invece Sony Music produrrà l’inno della competizione.
La reazione è stata completamente diversa. Nel senso che non c’è stata.
Secondo Lombardo, ci sono delle differenze fra le due situazioni. Riot Games, intanto, ha più volte espresso la propria solidarietà alla comunità LBGTQIA+, per esempio: che in Arabia Saudita è fortemente discriminata. Il supporto a un progetto saudita, perciò, è risultato ancora più avverso. Nel caso di Sony non è così.
“In quel caso si ribellò praticamente l'intera Riot Games, soprattutto quella europea, appunto, che era oggetto di questa partnership”, commenta Lombardo. “Riot si è sempre posta con la propria community come un brand inclusivo, eterogeneo, che accoglie tutti, che non fa problemi di sesso o religione. Ne ha fatto proprio anche una bandiera. Quindi quando poi vai a stringere, improvvisamente, un accordo senza che nessuno sappia niente con Neom, allora diventa un problema da questo punto di vista. Cosa che invece Sony apertamente non ha mai fatto, che io almeno ricordi: non si è mai posta pubblicamente come paladina delle community LGBTQ, delle community meno rappresentate. È un discorso diverso”.
La stessa Riot Games, poi, supporta indirettamente la Esports World Cup permettendo di usare i suoi videogiochi, come League of Legends e Teamfight Tactics. Però non sarà coinvolta direttamente: non sarà presente all’evento, non contribuirà alla regia.
In pratica, l’esport oggi non sta facendo niente per fronteggiare le ambiguità di rapportarsi all’Arabia Saudita. “Le org vanno a fare tornei dove si trovano, a prescindere che siano determinati paesi”, dice Lombardo, che fa un parallelo con la Cina. Dove esistono problemi di violazione dei diritti umani e democratici; eppure, i rapporti commerciali con il mercato cinese sono frequenti e sempre meno osteggiati.
“Non è il paese per eccellenza che garantisce i diritti di tutti. Non dimentichiamoci il discorso Hong Kong, il discorso uiguri. Nell'arco degli ultimi due mesi abbiamo avuto l’Intel Extreme Masters di Counter Strike, in Cina, a Chengdu. Sempre a Chengdu, il Mid Season Invitational di League of Legends. A fine maggio il Masters di Shanghai di Valorant. Ci sono continuamente tornei internazionali in Cina. Eppure nessuno si è posto il problema, se andare in Cina o meno”, continua Lombardo. “Il discorso è che vanno fatti inevitabilmente dei compromessi in questo momento, se si vuole operare nel settore. L'Europa e il Nord America da soli, come mercati non bastano, non sono sufficienti”.
“Tra la Cina e l’Arabia Saudita, a occhio, le differenze non sono poi tantissime”, dice ancora Lombardo. “Se ne parla meno sicuramente della Cina; però ripeto le differenze non sono tantissime. Eppure, per uno ci facciamo problemi e per l'altro no”.
Promesse
Naturalmente, ogni volta che sono interpellati, i soggetti sauditi - che sia il fondo sovrano, che sia bin Salman in persona oppure che sia Savvy Games Group - rassicurano e insistono che non ci sono problemi. Sarebbe strano il contrario, d’altra parte.
L’amministratore delegato di Savvy Games Group, Brian Ward, ha detto a France24 di aver ricevuto rassicurazioni e che i valori che guideranno le iniziative videoludiche saudite saranno “consistenti con i valori e la cultura della nostra industria”.
“Ci è stata data carta bianca per operare come una normale azienda di videogiochi”, ha aggiunto. “Non facciamo niente di diverso con la sede a Riyadh di quanto faremmo se ci trovassimo a New York, Los Angeles o Berlino”.
Il punto è se crederci o no.
Le altre notizie, in breve
Embracer ha chiuso un altro studio
Pieces Interactive, che di recente ha lavorato al reboot di Alone in the Dark, ha chiuso. Non c’è stato un annuncio ufficiale, ma sul sito ufficiale è stato aggiunto un breve testo che evidenzia che “la nostra ultima pubblicazione è stata la reimmaginazione di Alone in the Dark” e una data che dice 2007-2024. Le vendite di Alone in the Dark, pubblicato lo scorso marzo, sono state inferiori alle aspettative, nonostante l’amministratore delegato di Embracer, Lars Wingefors, lo abbia definito “un grande investimento”.
Paradox ha cancellato Life By You
Life by You era un simulatore di vita, sulla falsa riga della famosa saga The Sims di Electronic Arts. L’editore, Paradox Interactive, ha annunciato la sua cancellazione, dopo alcuni recenti rinvii. In pratica, la qualità del gioco non stava soddisfacendo le aspettative. Inoltre, lo studio che lo stava sviluppando, Paradox Tectonic, è stato chiuso.
Gli annunci del Nintendo Direct
Nei giorni scorsi, Nintendo ha presentato vari videogiochi che usciranno nella seconda metà del 2024 e nel 2025 per Nintendo Switch. I principali includono The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom, che per la prima volta nella serie avrà come protagonista Zelda e uscirà a settembre; Metroid Prime 4: Beyond, in uscita nel 2025; Super Mario Party Jamboree, con oltre cento minigiochi; e Mario e Luigi: Fraternauti alla Carica, che sarà disponibile dal 7 novembre. È stato annunciato anche il rifacimento dei primi tre Dragon Quest e la rimasterizzazione di Donkey Kong Country Returns, originariamente pubblicato su Wii.
Il nuovo videogioco di Stormind Games
Lo studio italiano Stormind Games (Remothered, Batora: Lost Haven) ha annunciato A Quiet Place: Road Ahead, ispirato alla serie cinematografica dell’orrore prodotta da Paramount. Il videogioco sarà pubblicato da Saber Interactive e uscirà entro la fine dell’anno su PC (Steam), PS5 e Xbox Series X|S: è un’esperienza in prima persona con elementi di sopravvivenza.
Ancora più in breve
È disponibile in Europa, e anche in Italia, Honor of Kings, videogioco mobile di grande successo. Da anni è il titolo più giocato in Cina
Sony non sarà alla gamescom di agosto. Xbox invece sì
Ubisoft ha annunciato una riedizione di Beyond Good & Evil: uscirà il 25 giugno su tutte le piattaforme oggi supportate e sarà incluso anche in Ubisoft+. L’originale è del 2003
Crash Bandicoot N. Sane Trilogy, uscito nel 2017, ha venduto 20 milioni di copie
Da leggere
Perché un videogioco di clic chiamato Banana - il “glitch legale dei soldi infiniti” - è diventato virale su Steam - Nicole Carpenter, Polygon
Il retrogusto dolceamaro di vedere annunciato il tuo videogioco dopo essere stato licenziato - Nathan Grayson, Aftermath
È il solito vecchio adagio: pecunia non olet.
I soldi derivati dal petrolio non bastano più e tocca investire in altri ambiti. Dove tira il vento ora? E chi, grande o piccolo, oggi può permettersi di eliminare una possibile grossa fetta di pubblico pagante per ragioni etiche? In un mercato dove da decenni la microelettronica si basa sul lavoro sottopagato (per non usare altri termini). Che ci permette però di poter scrivere e parlare liberamente con gli strumenti che abbiamo in mano.
Non credo ci sia risposta a tutto questo se non ricordarci che ogni cosa che acquistiamo ha un costo che non è solo quello del denaro. Sta a noi dargli il giusto valore