E quindi questa Steam Deck?
Ciao, sono Massimiliano Di Marco.
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IL PC PORTATILE DI VALVE
Nei giorni scorsi Valve Software, già produttore di Steam, ha annunciato Steam Deck, un computer portatile basato su SteamOS (Linux), che permetterà di giocare all'intera libreria di giochi Steam. La forma e le dimensioni ricordano Nintendo Switch, ma le somiglianze si fermano qui: Steam Deck è più grande e più pesante; è dotato di un processore AMD e ha 16 GB di RAM; oltre ai consueti tasti, sono presenti due trackpad (uno a destra e uno a sinistra). Il prezzo di partenza (419 euro) non include alcuna base per essere collegata a un TV: basta un qualsiasi cavo USB-C.
Non è semplice inquadrare una simile offerta commerciale. Sicuramente, c'è un ampio catalogo di giochi, specialmente quelli indipendenti o 2D, che su un dispositivo come Steam Deck possono essere fruiti agevolmente. Al momento ci sono alcune limitazioni. Come ti ho detto, SteamOS è basato su Linux. Per far girare i giochi Windows, Valve ha sviluppato uno strumento, Proton, che permette di giocare in compatibilità i giochi Windows. Alcuni di questi - come Destiny 2, Apex Legends e Rainbow Six Siege - non sono compatibili. Ciò è dovuto al sistema per contrastare chi usa i trucchi (come l'automira) incluso in questi giochi, che non è supportato da Proton, al momento.
Il concetto di un PC portatile votato ai videogiochi non è nuovo: tanti produttori hanno già provato a lanciare sul mercato un computer portatile che somigliasse a una console. Alcuni esempi sono il Lenovo Lavie Mini e l'Aya Neo. Soprattutto, negli anni Valve ha tentato più volte di espandersi nell'hardware, ma con scarso successo:
le Steam Machine, computer ottimizzati per giocare, sono durate tre anni, dal 2015 al 2018. Secondo il fondatore di Valve, Gabe Newell, il problema era che l'hardware del tempo "era super incompleto"
lo Steam Controller si proponeva come un'idea nuova: a destra e a sinistra c'era due touchpad configurabili. Venne lanciato insieme alle Steam Machine e non durò molto di più: fino al 2019
il visore per la realtà virtuale Index è ancora in vendita, anzi, è arrivato alla seconda generazione; ma (come il resto del mercato della realtà virtuale) è rimasto una nicchia.
Steam Deck è stato paragonato a Nintendo Switch, ma penso che tale confronto sia impreciso. Il successo di Nintendo Switch è dovuto alla presenza dei giochi Nintendo e a un marketing azzeccato. Steam Deck non ha i giochi Nintendo e la storia dell'hardware di Valve ha dimostrato che sul marketing ha molto da imparare. È comunque interessante che nel mondo PC - e soprattutto da un'azienda come Valve - ci sia ancora voglia di sperimentare con nuove forme di fruizione.
UNA MORTE GRANDEMENTE ESAGERATA
Quando sono arrivati gli smartphone si è pensato a lungo che le console portatili fossero destinate a sparire. Perché comprare una console, si diceva, quando hai già lo smartphone per giocare? Mi sa che la loro morte è stata grandemente esagerata. Intanto perché Nintendo continua a dimostrare l'appetito dei consumatori per dispositivi da gioco portatili: Nintendo 3DS, uscito nel 2012 nel pieno della crescita degli smartphone, ha registrato 75 milioni di unità vendute e Nintendo Switch ha già superato le 84 milioni di unità.
Soprattutto, The Verge fa notare che sono previsti anche Analogue Pocket, che supporterà i giochi di varie generazioni di Game Boy, e Playdate, che invece è una console portatile con giochi inediti. Steam Deck, sebbene sia un PC portatile, si inserisce appieno in questa rinnovata era del gioco in portatilità attraverso dispositivi dedicati.
Analogue Pocket sarà compatibile con i giochi delle varie generazioni di Game Boy.
Il cloud promette ormai da anni di diventare la principale modalità di fruizione per giocare su smartphone titoli che richiedono un hardware molto superiore, come quello delle console da gioco e dei computer. Fintanto che tale promessa non prenderà corpo, la sparizione (o addirittura l'inutilità) delle console portatili sarà stata esagerata.
UN PO' DI CASINO CON FIFA 22
Electronic Arts ha annunciato FIFA 22. Uscirà il 1° ottobre su PC, Stadia e console. Del gioco in realtà sappiamo poco. La principale novità è la tecnologia HyperMotion, che sfrutta l'Intelligenza Artificiale e motori di apprendimento automatico per generare in tempo reale nuove animazioni studiando i movimenti dei giocatori virtuali. Ecco il primo intoppo: HyperMotion ci sarà solo su PS5 e Xbox Series X|S. Se già in passato Electronic Arts ha preferito questo approccio - cioè supportare le vecchie generazioni, ma con meno funzioni - è già più strano che abbia deciso di lasciare da parte il PC, che quindi viene considerato una "vecchia console".
Un ulteriore elemento di attrito riguarda la gestione dell'aggiornamento gratuito alla versione di nuova generazione. Fin dal lancio di PS5 e delle nuove Xbox, ci sono stati titoli che hanno permesso a chi avesse acquistato la versione per PS4 o di Xbox One di ricevere le funzioni grafiche dedicate (come l'uso del ray tracing o i 60 fotogrammi al secondo) non appena avessero acquistato le nuove console, a costo zero. Per FIFA 22 EA ha optato per una scelta più drastica: soltanto coloro che acquisteranno la versione Ultimate Edition su PS4 o Xbox One avranno diritto all'aggiornamento per PS5 e Xbox Series X|S. La Ultimate Edition di FIFA 22 costa 99,99 euro.
PIÙ SOLDI AI CREATORI SU STADIA
Ricorderai che nei mesi scorsi Google ha chiuso gli studi che aveva aperto per sviluppare videogiochi internamente per Stadia, la sua piattaforma per giocare in streaming; ma Stadia è ancora accessibile e arrivano nuovi contenuti regolarmente. Al Google for Games Developer Summit Google ha annunciato alcune novità per Stadia, principalmente legate a come gli sviluppatori possono guadagnare di più.
In primis, fino alla fine del 2023 tutti i nuovi giochi potranno trattenere l'85% dei ricavi fino a 3 milioni di dollari anziché il 70%. Inoltre, Google inizierà a distribuire il 70% dei ricavi dell'abbonamento Stadia Pro, che abilita, per esempio, la risoluzione 4K, sulla base del numero di giorni in cui gli utenti hanno effettuato l'accesso a un determinato gioco. Questa scelta ha fatto storcere il naso a più sviluppatori perché, di fatto, Google sta incentivando gli sviluppatori a puntare sul coinvolgimento, che non è per forza un'indicazione della qualità dell'esperienza: uno sviluppatore potrebbe decidere di darti un bonus di 10 monete virtuali ogni giorno per incentivarti a tornare e avrebbe diritto a una quota maggiore rispetto ad altri giochi.
Un'altra novità è invece stata pensata per chi crea contenuti. Attraverso Click to Play Google darà 10 dollari agli streamer per ogni utente che dopo la prova gratuita di Stadia Pro si abbona e che è arrivato su Stadia grazie al link specifico dello streamer.
I tre elementi insieme formano un mosaico evidente: Google vuole spingere Stadia come piattaforma neutrale, ma ha un gran bisogno di giochi e anche di far parlare di sé. Il primo obiettivo lo vuole raggiungere promettendo più soldi agli sviluppatori. Il secondo spingendo gli streamer su YouTube e Twitch a convincere gli altri utenti a giocare su Stadia (perché anche loro ci guadagnano). Android è la più grande piattaforma da gioco al mondo: per arrivarci Google non ha dovuto sviluppare alcun gioco. Penso che per Stadia stia cercando di supportare questo stesso approccio, dopo aver radicalmente cambiato strategia nel giro di un anno e mezzo. Se ci riuscirà, sarà tutto da vedere.
CHI GUIDERÀ NETFLIX NEI VIDEOGIOCHI
Netflix inizierà a produrre anche videogiochi e per farlo ha assunto Mike Verdu, dirigente con un'esperienza trentennale nell'industria videoludica. Ha lavorato per società come Electronic Arts e Oculus e negli anni 90 ha anche co-fondato uno studio di sviluppo, Legend Entertainment. Non sono stati annunciati piani ufficiali rispetto a giochi e abbonamenti, ma le prime indiscrezioni indicano che Netflix includerà i giochi come contenuto per gli abbonati, quindi senza far pagare un costo aggiuntivo.
Il debutto di Netflix nei videogiochi, anche se non sappiamo ancora i dettagli, è l'ultimo esempio di una tendenza che vede molti produttori di servizi di streaming audiovisivo ampliare la propria offerta. Dopo aver attivato Prime Video, Amazon ha iniziato a produrre videogiochi, sebbene fino a oggi con scarso successo, e ha avviato Luna, un servizio di streaming simile a Stadia di Google. Apple da tempo ha introdotto Arcade, che propone una selezione di giochi senza pubblicità su abbonamento, oltre a TV+. Disney+ è il servizio di streaming video, ma la società offre le sue serie su licenza per giochi come Marvel's Avengers di Square-Enix, Marvel's Spider-Man di Insomniac Games e Star Wars: Fallen Order di Electronic Arts. Lo scorso gennaio, inoltre, Disney ha riaperto LucasFilm Games, che sta collaborando con Ubisoft su un gioco di Star Wars e con Bethesda per un'avventura di Indiana Jones.
IL PROBLEMA SIAMO NOI?
Martedì mattina, durante la consueta puntata di 24 Mattino, Paolo Mieli, giornalista di lungo corso, ha brevemente parlato di videogiochi. Lo ha fatto, in realtà, con un'anticipazione: dicendo che il giorno successivo avrebbe parlato di "una nuova PlayStation che tratta temi LGBT con la storia di due giovani ragazze lesbiche che innescano una relazione con un trans". Ha fatto accenno a Naughty Dog, il che, quindi, ha lasciato intendere che si riferisse a The Last of Us: Parte 2, in cui la protagonista, Ellie, è lesbica e ha una relazione con un'altra ragazza, Dina.
La triste descrizione del gioco è bastata a sconcertare la maggior parte delle persone che seguono i videogiochi con interesse quotidiano. Innanzitutto perché "una nuova PlayStation che tratta temi LGBT" semplicemente non ha senso: al massimo c'è un nuovo gioco che lo fa; la console no. L'idea era che, poi, Mieli potesse trasmettere il messaggio che nei videogiochi si tratta un tema (la sessualità) che non andrebbe trattato nei videogiochi. Il problema? Alla fine, Mieli non ne ha mai parlato davvero; il giorno dopo è intervenuto nella trasmissione come al solito e come se niente fosse stato detto il giorno prima.
In molti ci sono cascati, sempre che di trappola si possa parlare. Io per primo:
A questo punto, non resta che chiedersi: il problema siamo noi, che appena qualcuno prova a intervenire in maniera ignorante sui videogiochi reagiamo stizziti? Molti hanno suggerito che in queste occasioni bisognerebbe stare indifferenti perché persone come Mieli, estranee al videogioco, probabilmente non riescono più a essere incluse in un dibattito adulto su questa industria; che reagire così, semmai, consolida l'idea che se tocchi i videogiochi, ti arriva l'esercito di ragazzini incavolati sotto casa.
Io non sono d'accordo. Primo perché anche se ti hanno preso a pugni in faccia per una vita intera, un altro pugno in faccia fa comunque male; quindi, quando vedi qualcuno che alza il braccio, provi a pararti, quanto meno. Secondo, in modo meno metaforico, perché il solo intervento di Mieli ha raggiunto migliaia di persone che ascoltano quella trasmissione. In quanto figura pubblica può raggiungere moltissime persone, alcune delle quali hanno già probabilmente dei pregiudizi nei confronti del videogioco. Io posso fare il lavoro di informazione migliore del mondo; ma mi rivolgo a persone che molte cose già le sanno, sui videogiochi. Più lo stereotipo viene rafforzato e più è difficile demolirlo.
Non dico che sia necessario essere evangelisti del videogioco e criticare chi non gioca, ci mancherebbe. La differenza sta nel riconoscere che, a prescindere che ti piaccia o no, che ti interessi o no, l'industria videoludica esiste e va perlomeno rispettata nel suo essere un settore creativo, produttivo e di intrattenimento. Rafforzare pregiudizi, invece, significa rendere complesso per chi fonda un nuovo sviluppo andare in banca a chiedere un prestito, ricevere supporto finanziario dalle istituzioni e poter lavorare nel settore senza essere visto come un fancazzista. Siamo lontani dagli anni 70 e 80, ma la percezione è ancora quella di videogioco = perdita di tempo. Ogni singola parola di Mieli porta indietro il dibattito di anni. Per cui, se un giornalista, un conduttore o un politico fa un breve accenno simile quando si rivolge a un pubblico vasto, allora sì, è giusto che ci si incazzi.
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